L’EDITORIALE – Sotto la cenere della pace
Si sono spente in fretta le luci da balera psichedelica del circo socio-mediatico internazionale -non dissimile invero da quelli cui entusiasti imbonitori di un tempo invitavano il popolo ad accedere con le argute parole più persone entrano, più bestie si vedono– cui oltre ai consueti nani e ballerine hanno partecipato foche latranti ed esperti canguri, e nel quale grandi, medi e piccoli hanno celebrato la raggiunta pace medio-orientale e tutti, ciascuno come ha potuto o è riuscito, si è unito al generale peana dedicato all’illustre personaggio che, dopo decenni, ha realizzata l’impresa così ponendo una definitiva ipoteca al Nobel per la pace.
Riconosciuta l’eccezionalità dell’evento, in particolare il ritorno a casa degli ostaggi rimasti in vita e il numero osceno di coloro che non tornano, e lungi quindi da queste righe il sospetto di non comprendere il valore storico delle firme allo stato vergate sui protocolli, una considerazione si pone forse a proposito proprio di questa breve e semplice parola (pace) il cui significato non sembrerebbe neanche difficile da intuire pur a livello meramente intuitivo e senza necessità di addentrarsi in definizioni e labirintiche speculazioni intellettuali la cui sintesi, talvolta, emerge come La pace è l’intervallo fra due guerre, considerazione che già nel pensiero degli antichi ancorava, come tuttora àncora, il proprio significato all’esperienza empirica e al fluire della storia.
Donde lo scandalo non è tanto la guerra -che già ebbe in Eraclito (VI-V secolo a. C.) chi, dall’osservazione del continuo cambiare, interpretò la guerra madre e regina di tutte le cose al punto da rendere taluni dèi, altri uomini, talaltri schiavi e altri ancora liberi– quanto piuttosto la pace.
Per il significato e valore o, meglio, per le condizioni della quale è sorprendente il pensiero, del pari scandaloso, del maestro che, fra le tante altre cose, fece radicare anche basi di una filosofia poi accolta più in occidente che nelle sue terre.
“Ritenete che pace sia venuto a dare sulla terra? No, dico a voi, ma divisione” scrive l’evangelista Luca, cristiano di seconda generazione, nel suo libro (Lc 12,51) mettendo queste singolari, spiazzanti e sconvolgenti parole, peraltro già nella più antica testimonianza che è il Vangelo dei detti Q, sulle labbra di colui che alla nascita, come egli stesso scrive, fu presentato dal coro celeste glorificante Dio con l’augurio di pace fra gli uomini (eirène èn antròpois) e che, da adulto, non mai si stancò di perseguirla e insegnarla fino all’amore verso il nemico, sommo paradosso divino lontano e opposto alla umana natura.
Gesù non è un visionario né un facile profeta né uno dei tanti che dicono quello che la gente preferisce farsi dire, ma da uomo partecipa a una umanità ove prosperano male e odio e contesa (ben ha giudicato Eraclito) e a un mondo in cui sempre e da sempre vige incontrastata la legge del più forte e della violenza onde la gran maggioranza è attirata e interessata dall’uomo forte, dal prepotente di turno.
Non quindi attesa o ricorso a taumaturgiche modifiche o trasformazioni dei cuori dall’esterno né ricerca anche mediatica di giochi di prestigio che immutino le cose, o tali le facciano sembrare presentandole, ma scelta di adottare un messaggio che va oltre a quanto da sempre succede e continua a succedere: accettando quindi la difficoltà (il fuoco) di essere motivatamente divisi e contro rispetto alla maggioranza e rinunciando altresì a rimanere neutrali: invero, con la neutralità, appoggiando e sostenendo la logica prevalente: la pace non si impone.
Non si può fare come se nulla fosse, come se il mondo non stesse ri-tornando rapidamente all’indietro verso tempi che si ritenevano o si speravano almeno superati, condotto come è da folli che si auto-gonfiano a dismisura come la rana di Esopo e da numerosi lacchè interessati.
Il presidente della Repubblica, che sa quando parlare e cosa dire, ha recentemente riaffermato che la pace vera, duratura, risiede nell’animo dei popoli. Diversamente, sotto la cenere della fine delle violenze cova il rancore, pronto a divampare nuovamente alla prima occasione che possa essere sfruttata, per rendersi conto allora che la fine delle violenze si trasforma, purtroppo, in una parentesi tra due esplosioni” (14 ottobre 2025).
Prima di lui, Francesco papa.
Civiltà plurisecolare che pur in situazioni drammatiche e contesti oscuri, separazioni e profondi conflitti mantiene viva una minoranza scandalosa, non afona, coscientemente divisa dal coro dei batraci e non mai neutrale, contro il pregiudizio dell’assenza di Dio, dell’onnipotenza del male, di un destino di morte.
LMPD
