EDITORIALE: È come stare fermi davanti a una giostra
È come stare fermi davanti a una giostra, di quelle di vecchio tipo con i cavalli a dondolo che andavano su e giù al suono di una vivace e orecchiabile musichetta.
Solo che ora, a ogni passaggio, sebbene i cavalli siano (o sembrino) i medesimi, la musica cambia continuamente, aumenta di volume e non è più che una sgradevole e incomprensibile, oltre che assordante, cacofonia nella quale le note, se pur ce ne fossero ancora, sono irrimediabilmente affondate nel rumore e non più rintracciabili.
Chi osservi le italiche vicende in prospettiva tacitiana (senza ira/animosità e senza parzialità/pregiudizio, ma in latino, per chi se lo ricorda è ben più incisivo: sine ira et studio) non può che provare confusione, se va bene, e perplessità, diciamo così, davanti alle vicende di un gruppo governante che parla e riparla continuamente correggendosi e smentendosi sia reciprocamente sia a livello del medesimo soggetto.
Ognuno, beninteso, presenta in quanto essere umano pregi e difetti e come sono le persone così sono i Paesi: se l’affidabilità di un soggetto, nel contesto sociale seppur minimale in cui questo opera, dipende più dal suo comportamento empiricamente sperimentabile nei fatti che dalle credenziali formali di cui, nel caso, s’adorni, analogamente e a maggior ragione la credibilità di una nazione è strettamente condizionata al suo modo di agire sia presente sia, almeno in parte, trascorso.
Dall’esperienza diretta sono, in massima parte, tratte le aspettative più o meno confidenti circa i modi di agire venturi piuttosto che dagli impegni verbali o cartacei (quando ci sono).
Negare l’evidenza, scaricare le responsabilità sugli altri alzando strumentalmente la voce per dissimulare la propria e coltivare uno scenario vittimistico in cui le origini dei mali sono sempre altrove, a carico di nemici con volti noti o, preferibilmente, anche senza non porta da nessuna parte, ma (eccezion fatta per il plauso incompetente oltre che temporaneo, oggi qua, domani là, dei votanti) peggiora progressivamente le cose fino a renderle non più gestibili per nessuno.
Il debito pubblico dell’Italia, che con buona pace di chi non lo considera è il secondo più grave d’Europa, ha bisogno di essere sostenuto dall’esterno e l’aumento dei tassi d’interesse non è causato dal malanimo o dalla prevenzione delle agenzie di analisi, ma dalla incapacità di tenere una rotta affidabile da parte di chi sta al timone.