L’APPROFONDIMENTO: La medicina ayurvedica: “Come la punta di un laser”
In un articolo passato ho usato un’espressione insolita: l’occhio del medico che legge “come la punta di un laser”. Cosa significa? Per accostarci alla medicina orientale vi porto ora, per un attimo, dietro le quinte di un ritiro di meditazione dove si svolge, per vari anni, un apprendimento di base.
Dopo aver assunto precetti morali (che stabilizzano la mente in un’attitudine di attenzione e tranquillità) si trascorrono ore e giorni, nel nobile silenzio, ad ascoltare il respiro. Non è un ascoltare generico, non è invenzione nè rilassamento nè fantasia. E’ un esercizio paziente e reale, che diviene ogni giorno più fine. E’ il costante e silenzioso riportare l’attenzione in una piccola zona alla base del naso, dove l’aria entra ed esce, creando una sensazione fisica di contatto, che possiamo percepire. E’ lo stabilizzare la mente in questa percezione, sempre più in piccolo e più da vicino, più in profondità. Non si fa altro per nove ore al giorno. Anche le attività materiali (e l’ambiente attorno) sono ridotti all’essenziale, per creare un contesto privo di distrazioni: la continuità è la chiave del successo. Questo, è l’esercizio di base che un orientale svolge. Senz’altro, consente anche di raggiungere stati di raffinato benessere o di calma interiore… ma non è questo il punto d’arrivo. Questa mente, resa stabile, silenziosa e fine, quanto la punta di un laser, diventa uno strumento che useremo in un passo seguente. Così, scrissi raccontando del mio primo ritiro:
“Poco alla volta, la mente iniziava a diventare silenziosa e penetrante: “Come la punta di un laser” diceva il maestro accompagnandoci. Capace di stare (immobile e acuta) su quel minuscolo punto dell’anatomia, la base del naso, percependo la minuscola sensazione fisica (vibrazione) di contatto, sempre mutevole. La mente diventava stabile e finissima. Molti fenomeni, intanto, potevano accadere al nostro interno (fisici, mentali: dolori, caldo, freddo, inquietudine, pensieri…) ma non vi davamo importanza, dovevamo tornare al respiro; sempre più piccolo, più in profondità. E il mattino dopo si ricomincia. Solo dopo parecchi giorni di questo lavoro, iniziava un nuovo cammino.
Con questa mente, iniziavamo a percorrere il corpo, occhi chiusi e seduti immobili, soffermandoci ora su ogni minuscola parte, nell’atto di percepire la qualità di aniccia (cambiamento, vibrazione) che è inerente a ogni fenomeno e che, sempre mutevole, potevamo percepire in concreto, lì, e in ogni punto. Non dovevamo visualizzare o dare nomi, ma occhi chiusi e seduti immobili, percepire la vibrazione. Ogni parte del corpo rivela un movimento: denso, leggero, fluido, pesante. Ogni dolore rivelava una sua energia, forse lenta e compatta, ma che tuttavia si muoveva. E il suo fulcro, il centro: dov’era e com’era lì? Sempre più in piccolo e più in profondità. Non dovevamo inventare nulla, solo sentire. Per giorni, mesi.”
La vibrazione
Per il medico orientale aniccia (vibrazione, cambiamento) non è un modello teorico: aniccia è l’esperienza diretta, qui e ora, realizzata innanzitutto dentro noi stessi. E’ comprendere (percepire) il continuo e minuscolo cambiamento che avviene al nostro interno (corpo, mente). E’ coglierne la qualità, di quel momento. Ed è cogliere lo stato di flusso, sottostante. E’ in questo stato di flusso (nulla, è immutabile) che esistono le chiavi della guarigione, della remissione, della salute; del cambiamento. Questa comprensione si realizza inizialmente percorrendo il nostro corpo in porzioni sempre più piccole: grandi quanto la punta di uno spillo e inferiori ancora. Ne origina una comprensione estremamente profonda: della natura, del corpo, dei fenomeni fisici che vi accadono. La vibrazione è la base della medicina orientale.
Le prime intuizioni
In questo stare ore sul cuscino, naturalmente ciascuno porta il proprio corpo, col suo vissuto: forse un intervento chirurgico avuto anni fa, una gastrite, il mal di schiena, il caldo, il freddo… qualunque cosa… che si impara ad accostare, conoscere, comprendere. Comprenderne la natura. E lentamente, trasformare. E’ un esercizio senza rete di salvataggio. “Non potete essere dispensatori di salute o saggezza, se non l’avete prima maturata dentro di voi”.
Ricordo, nei primi ritiri, di aver trascorso ore sentendo un profondo dolore alla schiena, come un pugnale. Dentro c’era energia compatta, molto compatta. Che ho accostato, sentito, accolto. Nel tempo è scomparso il pugnale. Avviene una reale trasformazione delle cellule, dei tessuti, degli organi. La fluidità è la chiave della salute.
Lo studio
Non si inizia a studiare un testo, prima di aver lavorato a lungo sulla mente. Intanto, ci si addentra gradatamente in conoscenze fisiche e chimiche nate e basate su categorie differenti dalle nostre: terra, acqua, aria, fuoco che non sono altro che termini per indicare le qualità -densità, fluidità, movimento, calore…- che si uniscono e combinano in un continuo fluire nel quel può crearsi uno squilibrio. La vibrazione è la base della medicina ayurvedica: è la base di comprensione e correzione della malattia. E’ la base, anche, del benessere mentale.
I testi di riferimento
Poi, lo studio approfondito. L’insegnamento orientale, infatti, non è un generico: siamo energia. E’ il Tipitaka, che corrisponde al più poderoso insieme di insegnamenti specifici (nel suo insieme, credo possa corrispondere al volume di libri che un medico occidentale affronta, tra laurea e specializzazione, nel corso dei dieci anni di studio). Altrettanto, il medico orientale.
Questa conoscenza è stata poi declinata in implicazioni mediche, creando un sistema di immensa completezza e valore. I testi di riferimento della medicina ayurvedica, propriamente detti, sono rappresentati dall’opera di tre grandi studiosi: Charaka, Sushruta e Vaghbata che hanno raccolto nelle rispettive opere (Charaka Samita, Sushruta Samita e Ashtanga Hridayam che compongono la cosidetta Brihat Trayi “Grande triade”) le basi filosofiche, teoriche e pratiche dell’ayurveda. Si tratta di testi unici per profondità e vastità.
Una conoscenza molecolare
La fisica oggi lo conferma: siamo cellule, atomi, elettroni, protoni; particelle infinitamente scomponibili fino a essere una vibrazione. Siamo vibrazione.
L’Oriente 2.500 anni fa, prima di ogni fisica quantistica, arrivò a dare una descrizione dettagliata di queste particelle e del loro modo di funzionare, e della particella più piccola che nasce e muore al medesimo istante. Il buddha la chiamò kalapa. E disse che una kalapa corrisponde “alla 46.656esima parte di una particella di polvere sulla ruota di un carro nell’estate indiana”. A parte questa descrizione, storicamente colorita che egli diede, essa e altre trovano conferma nelle più recenti scoperte della fisica.
Secondo quest’ultima, gli atomi che formano le molecole del corpo (e del mondo) che noi in genere percepiamo come solido e concreto, sono in realtà composti anch’essi di elementi (le particelle subatomiche) che sono tutt’altro che stabili e concreti. Queste a volte si comportano come particelle e altre volte come pure onde di energia, secondo la situazione e il grado di scomposizione. Alcune di queste particelle (come i protoni, elettroni, neutroni, neutrini) hanno un certo grado di stabilità (o almeno sembrano averla, per quello che la scienza può dire oggi). Altre, meno conosciute da persone non specializzate (come i muoni, pioni, kaoni, delta, ecc) sono incredibilmente instabili: esse appaiono e scompaiono in milionesimi, trilionesimi, miliardesimi di secondo (la “vita” di un muone, per esempio, è di un milionesimo di secondo, quella di un kaone è di un miliardesimo di secondo, e quella di un delta è di un milionesimo di miliardesimo di secondo).
Gli stili interiori
Ma torniamo all’Oriente e a noi: siamo kalapa. Energie che vibrano. Le cure sono basate sull’uso di cibi, abitudini, modi il cui impiego quotidiano consente di correggere gli squilibri, impedire alla malattia di prendere il sopravvento o aiutarla rapidamente a regredire. Gli stili interiori risultano essenziali e altamente incisivi, nel determinare la qualità (e cambiamento) della vibrazione (armonia o squilibrio), e dunque nel determinare malattia o guarigione, più di ogni elemento chimico (cibo o farmaco). In quest’ottica, viene data grande importanza a essi.
Oggi la neuro-immuno-endocrinologia conferma lo stretto legame, chimico, che esiste tra i sistemi nervoso, cerebrale, endocrino e immunitario, che scambiano tra loro “peptidi”, molecole messaggere, che originate da una qualunque causa in uno qualunque di questi sistemi, andranno a portare il medesimo messaggio anche negli altri. Un’emozione, un pensiero hanno reale influenza (chimica, cellulare) sul sistema immunitario, endocrino e sull’intero corpo.
Nel cambiamento, la chiave della cura
I campi d’applicazione più immediati e di sicuro interesse della medicina ayurvedica appaiono essere: la prevenzione, intesa come manutenzione e ottimizzazione dello stato di salute, le malattie croniche, spesso resistenti ai trattamenti tradizionali, gli stati post-acuti (per esempio post-operatori) o sub-acuti, la terapia del dolore, le cure palliative o le recidive. Di sicura supremazia appare la medicina occidentale nel campo dell’urgenza, chirurgia o stato acuto. Sebbene, un orientale giungerebbe forse anche a questi con un approccio diverso. E con la proverbiale tolleranza siamese, rifiuterebbe forse un intervento che percepirebbe come violento, estraneo, invasivo. E questa prospettiva (interiore e fisica) si rivela spesso decisiva anche nel determinare l’esito di uno stato acuto.
Nella pratica, non si tratta di una medicina “dolce” o “lenta”. Essa è in grado di cambiare anche quadri clinici dolorosi, infiammatori o acuti.
“Come la punta di un laser”: diceva il maestro mentre ci accompagnava in un lavoro paziente e reale all’interno del nostro corpo, dove tutto, in ogni istante, cambia. In questo cambiamento, nella sua comprensione e indirizzo, stanno le chiavi della guarigione e della remissione del dolore. Ma senza porre l’accento (anche) su uno stile interiore, falliremo nella meta della guarigione.
Elena Greggia
Orientalista e ricercatrice, Milano