EDITORIALE – Mai più come prima
Nel periodo più cupo dell’infezione, quando i morti crescevano ogni giorno riassunti in bollettini di guerra che cercavano di edulcorare l’aridità delle cifre con il riferimento all’età dei trapassati, da più parti si elevavano, comprensibilmente, spezzoni di augurio riassunti nelle parole mai più come prima le quali, nelle intenzioni, volevano esprimere la fiducia, o almeno la speranza, che un evento epocale come la pandemia avrebbe necessariamente indotto la società al cambiamento almeno di taluni comportamenti e così ad altrettante migliorative conseguenze.
In sostanza la letale epidemia, progressivamente trasformatasi in pandemia (realtà ancora sconosciuta ai più se non per via letteraria e per fotografie d’epoca in bianco e nero di gente con mascherine di comunità: l’influenza spagnola, che gli Spagnoli addebitavano però alla Francia, nel 1918/20, si portò via cinquanta milioni di persone), specchio di uno scenario ritenuto superato dai tempi e non più possibile il quale mette a impietoso, ma obiettivo confronto la ri-scoperta fragilità della potenza umana e la sua dimenticata ignoranza rispetto all’ignoto che ri-tracima, avrebbe potuto, negli auspici, avere l’effetto di far tornare a pensare in termini di onestà intellettuale almeno la maggioranza dei consociati, indipendentemente dalle funzioni ricoperte nella vita.
L’augurio si sta in effetti realizzando, sebbene non proprio nell’orientamento e nei termini ottimisticamente evocati negli scorsi mesi giacché la politica è, se mai fosse stato possibile, perfino ancora peggiorata essendosi i suoi soggetti, protagonisti (termine in questo caso quando mai fuori luogo, ma lo usiamo per capirci) e non, temerariamente appropriati anche del virus a uso dei propri interessi, e la generale polemica ripetutamente sterile e la lite di tutti contro tutti per ogni occasione non hanno mai conosciuto soste neanche in agosto, mese normalmente deputato a un fisiologico abbassamento di toni, quantomeno per la spossatezza della calura.
Nondimeno, a onta della costante ringhiosità dei molti, paurosi e violenti e mediocri, ecco che la nostra piattaforma di vita normale non è proprio più come prima.
La città, ma non solo, è cambiata: modo di lavorare, di fare la spesa, di andare a scuola, di muoversi, di accedere alle cure ospedaliere, di ritrovarsi e così via.
Lo scenario è mobile, naturalmente, ma la sua direzione comunque obbedisce al piano inclinato almeno fino a quando non sarà disponibile un efficace vaccino che abbia ragione del virus nei fatti e non a parole o a comportamenti irresponsabili di cui si sono già ampiamente raccolti taluni risultati i quali, tuttavia, nemmeno con l’evidenza empirica portano un minimo di consiglio.
Prova provata, se mai ce ne fosse stata necessità, della correttezza dell’antico detto per cui Quos vult Iupiter perdere, dementat prius -Coloro che Giove vuole rovinare, prima li fa impazzire- ove il mitico re dell’Olimpo può agevolmente e ben più efficacemente, anche se il tono aulico della declaratoria indubbiamente si deprime un poco, essere sostituito dalla supponenza di troppi grilli parlanti che si credono, ma non sono.