EDITORIALE – Il significato della parola “democrazia”
Per parola si intende, nella consuetudine, un “complesso di suoni” più o meno accentato che corrisponde o meglio esprime o delinea qualcosa (nozione, azione, idea, rapporto etc) allo scopo di delinearla per sé o di comunicarla a terzi.
La parola, esprimibile in via orale o scritta, costituisce un insieme o complesso o pluralità molto esteso e basta considerare un vocabolario per rendersene conto.
Nel vocabolario è presentata, nei fatti, la potenzialità espressiva a disposizione per parlare e scrivere in una determinata lingua e, sovente, sono registrate altresì indicazioni circa lo status, diciamo così, della singola parola custoditavi (come: antico, desueto, letterario, neologismo, barbarismo, anglismo etc).
Il valore semantico effettivo o, per converso, lo svotamento semantico di una parola non è individuabile in teoria, ma preferibilmente per il tramite del suo uso nella realtà della vita pro tempore poiché anche le parole, al pari di quanto sembra far parte della realtà (mi si passi l’enfasi), evolvono o involvono e capita che una stessa parola mezzo secolo fa avesse un significato e poi l’uso improprio o l’abuso l’abbiano in qualche modo vulnerata svuotandola e banalizzandola o modificata.
Un campo di ricerca particolarmente fruttuoso (si fa per dire) è costituito, per esempio, dai titoli dei giornali fra i quali si trovano non di rado espressioni che non dicono niente e dal bagaglio comunicativo di numerosi politici che sono capaci di parlare senza esprimersi o comunicare (immobilismo, strumentalizzazione, buonismo…).
Una parola nobile e fondamentale per la nostra civilizzazione dolosamente (con ogni aggravante generica e specifica) tradita e abusata negli anni fino a farle perdere significato e a relegarla, di conseguenza, nella marginalità in quanto inservibile è, al presente, la parola democrazia.
Si ricorderà come i regimi più abbietti si siano fregiati di questo termine svuotandone il contenuto e lasciandone una maschera vuota di contenuti e piena di tirannide.
La considerazione emerge spontanea anche scorrendo l’ultimo Democracy Index 2019, rapporto pubblicato dalla EIU (Economist Intelligence Unit) e liberamente disponibile, a semplice richiesta, sul sito.
Sono stati analizzati 165 Stati, in buona sostanza l’intera popolazione mondiale, utilizzando sempre i medesimi cinque criteri di cui agli anni passati (processi elettorali e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica e libertà civili) e quindi classificati gli Stati in quattro fasce: democrazie piene, democrazie imperfette, regimi ibridi e regimi autoritari.
Risultato: ventidue nella prima fascia (13,2% degli Stati e 5,7% degli abitanti del globo) e (…giudica e manda secondo ch’avvinghia) cinquantaquattro nella seconda (32,3% -fra cui Italia e USA- e 42,7%), trentasette nella terza (22,2% e 16%), cinquantaquattro nella quarta (32,3% e 35,6%): il mappamondo a colori, a pag. 5, ne fornisce con ancora maggior forza dei numeri, un’immagine urticante e la figura n. 2 a pag. 7 mostra un generale regresso di quattro criteri su cinque, dal 2008 al 2019, con la sola eccezione della partecipazione politica il cui incremento è stato visibilmente influenzato dai numerosi moti di proteste e di opposizioni popolare intervenuti nel 2019.
Per combinazione il 15 settembre ricorre la Giornata internazionale della democrazia, istituita dalle Nazioni Unite nel 2007 con riferimento alla Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) la quale, all’art. 21.3, declama come sia la volontà del popolo il fondamento dell’autorità dei poteri pubblici e come questa volontà debba essere espressa con elezioni serie, … ed è noto che all’importante votazione (48 favorevoli, 10 astenuti, nessuno contrario) parteciparono con il dovuto sussiego e annessa propaganda anche rappresentanti di Stati che poi, fatta autocritica, si pentirono.
“Complesso di suoni”, per l’appunto, e nient’altro, ma contagioso.