EDITORIALE – Una lecita curiosità
Riconosco che l’ingravescente età non mi ha salvato, questa volta, da un attacco di curiosità, sentimento per il quale non ho mai avuto particolare propensione.
Insomma, da ferrovecchio del diritto (e del suo rovescio) mi piacerebbe leggere l’atto che, secondo notizie di stampa, i legali del presidente della giunta lombarda hanno indirizzato ai magistrati della Procura di Milano per significare loro che -l’attività della centrale d’acquisto regionale essendo di fatto paralizzata dal timore dei responsabili di essere, poi, indagati- sarebbe necessaria per procedere più speditamente una sorta di autorizzazione della Procura.
Al centro della inusuale sortita ci sarebbe l’acquisto di 350.000 dosi di vaccino antiinfluenzale da realizzare a trattativa privata, vale a dire senza gara.
Ora, è nota da tempo la inesplicabile (per i comuni cittadini) disfatta della Regione lombarda, per lunghi anni pavone e maestra di vita in materia di sanità nella sua veste di locomotiva d’Italia, sul fronte vaccinale contro l’influenza a fronte di un incessante martellamento scientifico e mediatico circa l’opportunità che, in particolare, i numerosi soggetti a rischio (per età) e fragili (per comorbidità) ancora in vita accorrano al vaccino: arrivati a S. Ambrogio i vaccini hanno continuato a latitare o a essere distribuiti con il contagocce.
Fino al punto che l’assessore competente, il quale settimane or sono aveva provato a depotenziare il caso, riconosce forti ritardi nelle consegne e ancora carenza di dosi mentre la Regione ammette esserci, in argomento, ampia polemica.
E fino al punto che c’è perfino un fascicolo (sempre in Procura), allo stato ancora senza indagati, sullo sterile susseguirsi delle numerose gare indette (sembra dodici) con prezzi molto oscillanti, ma dai risultati uniformemente negativi.
La gara è stata infine aggiudicata ai primi di dicembre, ma la fornitura sembra ancora insufficiente al bisogno.
Lasciando ovviamente il merito a chi è in grado di conoscere la realtà delle cose e, non ultimo, a chi ha forse anche il dovere di farlo, al comune cittadino che non ha accesso alle stanze dei bottoni, come è giusto in quanto non di sua competenza, vengono spontanee alcune considerazioni.
E partiamo dalla più grande per scendere verso la più piccola.
Siamo un Paese di diritto formale, diverso da quello e. g. degli anglo-sassoni noto al grande pubblico per film e romanzi, e da noi l’azione del pubblico ministero è obbligatoria per dettato costituzionale (art. 112) fondato sulla necessità di garantire l’indipendenza del PM da qualsiasi altro potere e l’uguaglianza dei consociati davanti alla legge e, a sua volta, derivato dalla tripartizione del pari costituzionale dei poteri dello Stato moderno libero e democratico (legislativo, esecutivo, giudiziario).
Prima rettifica: l’azione penale dovrebbe essere obbligatoria poiché poi, di fatto, nella prassi si rileva una (infausta) frattura fra il principio e la sua applicazione causata, in prima battuta, da carichi di lavoro eccessivi in capo alle Procure in una endemica scarsità di risorse. Ma non deviamo perché su questo tema, peraltro importante, ci sarebbe ben altro da argomentare.
Onde la citata azione esplicata verso la Procura sembrerebbe, più che ispirata a una forma di diritto creativo, piuttosto una mossa di matrice politica.
Poi: che la pubblica amministrazione sia vincolata al codice dei contratti pubblici (o degli appalti, decreto legislativo n. 50/2016) non sembra potersi considerare una novità.
Come neanche il fatto che il codice in parola sia oltre che poco efficace (ma, senza particolari simpatie per un legislatore litigioso e sovente sciatto e carente, bisogna riconoscere che disciplinare i rapporti economici pubblici di una società civile in cui brulicano i ladri non sia impresa banale) anche farraginoso e richiedente tempi di gestazione per gli acquisti eccessivamente lunghi.
Ma il codice c’è da anni e lo sanno tutti, a cominciare dalle pubbliche amministrazioni per le quali questo complesso di norme costituisce, volenti o nolenti, il testo sacro.
Forse la ricerca del granello di sabbia che ha ingrippato il motore dell’unica italica regione europea non dovrebbe avere come perimetro (solo) normative nazionali o rapporti con il potere giudiziario quanto piuttosto il funzionamento e la sincronizzazione con la gerarchia regionale, anche politica, degli uffici preposti -i quali peraltro negli anni passati qualche dose di vaccino pur acquistarono e senza neanche finire a S. Vittore- in termini di efficienza ed efficacia (responsabilità e competenze comprese) dell’azione amministrativa da esplicare ed esplicata.
O no?