EDITORIALE – I tempi cambiano in fretta
Da un governo a maggioranza relativa, attraverso il buco nell’acqua dei responsabili-costruttori-volonterosi che ha affondato nel gorgo proclami, dichiarazioni e digrignanti ultimatum, siamo saltati a un governo a maggioranza assoluta che assorbe in sé anche l’opposizione.
Colui che nessuno voleva e il cui nome era evocato a scopi apotropaici o strumentali per far venire il mal di testa ai nemici è ora votato da (quasi) tutti compresi i molti rapidissimamente convertiti dopo le rispettive folgorazioni che hanno loro garantito sia la permanenza sulle dorate sedie sia il novello et rinnovato accesso alle medesime sì belle e perdute.
E nell’ecumenico encomio parlamentare si è distinta la voce di Emma Bonino, bogianen di razza, che ha garbatamente avvertito il neo-presidente a non abituarcisi troppo.
Considerato però il curriculum del quale, aduso a operare tenendo insieme cani e gatti di ben maggiori dimensioni e a maneggiare esplosivi, è attendibile che il soggetto sia già vaccinato e che quindi non rischi di mettere a repentaglio il proprio equilibrio mancando di valutare con la dovuta prudenza e lungimiranza di chi siano le bocche (e le teste) che ora lo incensano.
Ricordo la massima di un bravo imprenditore (anche politicamente esposto, come si direbbe oggi) attivo al tempo della prima Repubblica per cui ciascuno deve poter avere davanti la sua brava scodella se no starnazza e la vedo nei fatti saggiamente applicata con un corretto ricorso al manuale Cencelli, ma, in particolare, integrata da un codicillo ad alto valore aggiunto che sceglie e mette persone di fiducia, sulle quali realisticamente investire in termini politici, nelle vere posizioni fondamentali e strategiche della compagine governativa.
Naturalmente dispiace, per esempio, la certificazione dell’irrilevanza dell’Italia (ministero per gli Affari Esteri), ma la situazione già era nota e sebbene adombrata dalla dura realtà non è tuttavia senza speranza che, per lo meno, tematiche di maggior rilievo e necessità per il Paese saranno gestite direttamente dal presidente: ubi maior, minor cessat (nonostante le buone impressioni).
La bacchetta del mago non l’ha nessuno e neanche questo signore che si trova, tra l’altro, a iniziare un lavoro comunque difficile e impegnativo sul cumulo di detriti che hanno prodotto e lasciato senza rimorsi o vergogna ciarlieri predecessori, ma ciò è quello che passa l’italico convento sia in termini di cose sia di uomini.
I problemi che, negli anni, trasformarono in fortunati pifferai prima quelli del Bossi in marcia sulla Capitale per salvarla dai ladri (sappiamo com’è finita) e poi quelli del Grillo in marcia sul Parlamento per salvarlo dal malcostume (idem come sopra) ci sono ancora tutti e nel caso peggiorati, per l’appunto, con l’aiuto dei pifferi.
Sentire un presidente del Consiglio spiegare che preferirà parlare quando ha qualcosa da dire segna uno spartiacque che ci si può solo augurare faccia razza anzitutto nei ministri e nei sottosegretari e quindi in coloro che, non contando niente (e con sprazzo d’ingegno arrivando a intuirlo), affidano la propria precaria visibilità e la sopravvivenza esistenziale al blatero, ergo sum.
I talk show troveranno certo succedanei per i loro programmi e così i vignettisti: il governo lavora nei ministeri, accede alle sedi istituzionali e riferisce al Parlamento lasciando ai guitti il caravanserraglio dei media e dei social e l’uso scriteriato degli annunci inutili, compresi quelli poi da smentire goffamente.
Altra alternativa non c’era e il lavoro fondamentale svolto in pochi giorni da un altro soggetto di silenziosa e sana costituzione (anche democratica), il Presidente della Repubblica, dimostra che la differenza reale fra le persone (tutte uguali davanti al Signore, ma non nella vita terrena e in particolare politica a mente del monito di Gesù: Date le cose di Cesare a Cesare…) è segnata dalla capacità di lavoro unita responsabilità, competenza e rettitudine.
Dopo una troppo lunga ebbrezza di ‘uno (qualsiasi) vale uno’ -concetto da taluno fin pseudo-codificato, ma da troppi in ogni modo adottato per fatti concludenti- che ha irresponsabilmente condotto al potere ignoranti e arroganti si schiude ora una diversa possibilità: che ritorni a essere preso e tenuto in considerazione il binomio fondamentale che, da sempre, condiziona (in bene o in male) l’operare degli uomini: il ‘sapere di non sapere’, cioè l’umiltà e il senso del limite che indirizzano la necessità di apprendere quello che serve, e il cursus honorum, cioè la successione delle cariche che concreta una progressiva crescita in competenza e merito per adire le cariche pubbliche.
Accompagnando a nostra volta i voti augurali di tanti concittadini, confidiamo che alla prossima presidenza della Repubblica sia chiamata una persona altrettanto degna e capace e che il presidente del Consiglio duri almeno quel tanto per uscire (e farci uscire) dal pantano onde tornare ad arare sulla terra ferma, fino a che i ranocchi devono guardarsi dal pericolo da loro stessi causato. E se torneranno a gracidare, come di certo avverrà poiché altro non sanno, che non se ne curi.
Mentre che ‘l vento, come fa, si tace.