EDITORIALE – C’è forse bisogno di scomodare Cassandra?
Saltuariamente si incontrano, in interviste o articoli di scienziati ed esperti in tema di pandemia, succinte considerazioni, quasi sempre incisi nello sviluppo di un’altra frase, che fanno generici riferimenti sia alla prevedibilità dell’evento in sé sia alla possibilità che, esaurito non si sa bene quando il nefasto presente, altri ne seguiranno e anche di peggiori.
L’inciso non è però mai sviluppato, ma accennato e basta.
Non si comprende, ovviamente, il motivo di tanta vaghezza poiché l’argomento non è certo banale e quindi non si comprende se la cronica assenza di almeno qualche motivazione sia dovuta a leggerezza dell’autore, a sua ignoranza (anche gli esperti lo sono) oppure a modalità espressive tendenti a vivacizzare artificiosamente un argomento che, pur preso da mille parti, è poi sempre quello.
Perché se qualche cosa si conoscesse, nella pur contingente realtà scientifica, andrebbe quantomeno condivisa allo scopo di pervenire a migliori e più efficaci (ci vuole invero poco rispetto alla situazione fino a ora sperimentata) processi preventivi.
Se non altro per predisporre misure atte a mitigare l’impreparazione svelata dagli eventi di inizio 2020.
In attesa che la scienza si pronunci, dove cercare o cosa pensare circa la prevedibilità di un evento pandemico come l’attuale?
Lasciando (per ora) da parte le interpretazioni di respiro vagamente millenaristico che propongono interpretazioni della storia umana basate sul ciclico ricorso di malattie infettive, oltre che di carestie, un primo elemento fattuale ampiamente condiviso circa la genesi del Covid-19 riporterebbe l’analisi, se si potesse davvero svolgerla, a un misterioso passaggio del virus assassino da animali all’uomo in un contesto territoriale, politico e sociale che non consente però un’indagine adeguata, come dimostrato dall’inutile missione di OMS in Cina.
Il passaggio virale pare quindi destinato a rimanere inspiegato ancora per un tempo indefinito e ciò indubbiamente non aiuta a immaginare specifici criteri preventivi per il futuro a parte quello generalissimo, e di buon senso, di una ben diversa igiene organizzativa e alimentare: mercati pubblici come quelli che si sono visti nelle documentazioni fotografiche non sarebbero facilmente accettati dalle autorità sanitarie in numerose parti del mondo, ma sono viceversa la norma in tante e più numerose altre parti e ne esistono probabilmente anche di peggio.
C’è poi il particolare imbarazzante della presenza, territorialmente vicino ai mercati additati come (presunti) colpevoli, di laboratori scientifici coperti dal riserbo di Stato le cui attività sono ignote se non per quel poco che il suo proprietario (e responsabile), lo Stato, decide di fare conoscere all’esterno: come e quando, vale a dire in congruo ritardo, vuole.
Ed essendo uno Stato assolutistico ci riesce molto più efficacemente di quanto non facciano gli Stati democratici che non sono nemmeno loro indenni, ma questo è un altro discorso, dalla ragion di stato.
E’ comunque verosimile che ci si dovrà accontentare delle poche notizie, accuratamente preparate e inservibili, che passa alla comunità l’imperscrutabile, laconico e non collaborativo convento e non si verrà mai a conoscere il vero perché troppo sensibile e pericolosamente esplosivo.
Dal rapporto della inchiesta volta a ricostruire le origini del coronavirus condotta da United States Intelligence Community, l’organizzazione che include diciassette agenzie federali di sicurezza statunitense, voluto dal presidente Biden per cercare di capire cosa sia realmente accaduto a Wuhan verso la fine del 2019, emerge che la maggior parte di queste crede ‘con un basso livello di fiducia che probabilmente non sia stato sviluppato come arma biologica’.
Verrebbe da dire che è già qualcosa, considerata l’oscurità che copre la tematica delle armi biologiche, ma permane comunque lo stallo dato che mancano prove sufficienti per valutare le ipotesi di trasmissione, in natura o in laboratorio, e che in ogni modo la cooperazione responsabile della Cina sarebbe essenziale, ma viene negata.
Che ciò avvenga per motivi politici di scontro con gli USA o per coprire attività commissive od omissive che non si vogliono ammettere, per ambedue i motivi o per altro ancora sfortunatamente non rileva: le lacune di conoscenza non saranno colmate (quantomeno in questa fase temporale sine die) e quindi nessun ausilio in termini di prevenzione può trarsi da questa tragica esperienza se non la considerazione, non certo originale, che il prevalere costante della politica sulla scienza è motore di regresso e non di civilizzazione e che non essendoci a livello internazionale un meccanismo operativo efficace per indagare effettivamente le origini di una infezione la prossima volta si sarà di nuovo impreparati.
L’esperienza non insegna niente a chi non intende imparare e c’è solo da non pensarci troppo.
Ma se non bastano i grilli parlanti che ammiccano al passato senza nulla dire, ecco che si associano i futurologi (non di rado denominati ‘cassandre’ con utilizzo discutibile del nome di una mitologica sacerdotessa, la quale peraltro sembra dicesse la verità).
Recente è l’uscita del fondatore di Microsoft, uno degli uomini più ricchi del mondo e altresì filantropo (tanto di cappello), che già nel 2015, riferiscono le cronache, aveva previsto una prossima sconosciuta e letale epidemia e che è tornato sulla scena a riferire che quelle a venire saranno molto peggiori ancora.
Da qui la sua richiesta a numerosi governi in carica di allocare adeguate risorse (allo stato valutate in 3,5 miliardi di dollari) finalizzati a ridurre i tempi necessari a produrre nuovi vaccini in poco più di tre mesi onde limitare efficacemente gli effetti delle prossime (certe) pandemie sulla salute e sull’economia.
In altre parole: se non si viene a capo di come esse originano e quindi a prevenire, la almeno la reazione per intercettarle sia immediata: l’idea, in sé, regge.
Come tributario delle allocazioni di risorse auspicate è indicato CEPI, ‘Coalizione per le innovazioni nella preparazione alle epidemie’ (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations), fondazione internazionale che raccoglie fondi per finanziare progetti di ricerca indipendenti allo scopo di sviluppare vaccini contro le malattie infettive emergenti.
E anche puntare su un soggetto indipendente non condizionato dalle logiche politiche del momento ha il suo senso.
CEPI è però uno degli attori principali del programma Covax che aveva l’obiettivo -indicato dalla OMS- di vaccinare il 40% della popolazione dei Paesi a basso reddito entro il 2021 e il 70% entro giugno 2022 e che è all’evidenza fallito: appena il 9,6% delle persone residenti nei Paesi a basso reddito ha ricevuto almeno una dose. E non è forse nemmeno un caso che le ultime due varianti, Delta e Omicron, siano sorte proprio là ove la copertura vaccinale è estremamente bassa.
Peraltro, nemmeno Mr. Gates sfortunatamente precisa su quali elementi basi la sua poco rassicurante -in termini di possibilità e probabilità- previsione e quindi ancora nessun aiuto a immaginare processi preventivi una volta che il mondo sia fuori da questa ondata letale.
Si provi allora a buttare sul tavolo solo qualche elemento alla rinfusa: popolazione mondiale di poco meno di otto miliardi, in crescita e sempre più assembrata e accalcata nelle megalopoli (le N.U. prevedono che entro il 2030 metà della popolazione mondiale vivrà in megalopoli asiatiche: India, Vietnam, Cina, Corea del Sud. In lista anche Iran, Tanzania e Angola), condizioni igienico-sanitarie e alimentari ognora estremamente critiche se non ancora peggiori e comunque fuori controllo, centri di ricerca scientifica sparsi per il mondo impegnati segretamente a giocare con il fuoco, corrispondenti governi che giornalmente danno prova di sé e delle proprie virtù nelle relazioni internazionali etc.
Non c’è neanche bisogno di scomodare Cassandra, quella vera.