DE LITTERIS ET ARTIBUS – Il cinema ritrovato – Une historie simple (Una donna semplice), Claude Sautet (1978)
Il cinema è, fra le forme artistiche cui si rivolge la fantasia e l’intelligenza dell’uomo, la più recente (fine ‘800) altresì denominata ‘settima arte’: basandosi sul movimento riprodotto concreta una forma di narrativa normalmente di approccio più agevole o meno complesso rispetto alla lettura, ma in grado di ‘parlare’ ancor più direttamente allo spettatore (lettore).
Come ogni altra può rivelarsi assolutamente inutile oppure elevarsi a offrire esperienze e sensazioni di valore che, in virtù del mezzo tecnico costituito dal film, possono agevolmente essere riproposte nel tempo.
Con il titolo de “il Circolo del Cinema” pubblichiamo interventi su film che hanno fatto la storia e sono degni di memoria a cura di un appassionato cinèfilo.
Une historie simple (Una donna semplice), Claude Sautet (1978)
Separata dal marito, la quarantenne Maria lascia l’amante dopo aver rinunciato a una seconda maternità. Ritorno di fiamma col marito.
Rimasta incinta decide di vivere da sola, delusa da entrambi gli uomini della sua vita, di tenersi il figlio e di dedicargli il resto della vita.
Il film è un’esaltazione della donna: coraggiosa, matura, altruista, vincente nel confronto con i partner, meschini e superficiali.
In questo film la vita e i sentimenti si intersecano negli affanni quotidiani, nei gesti più comuni, fra i tavolini di un caffé affollato, all’ingresso in chiaroscuro di una galleria o in un idilliaco ritiro di campagna, tra amici.
Con il cinema di Sautet la geografia urbana risulta un crocevia di emozioni distillate con sapienza attraverso sguardi, gesti e consistenza delle parole.
I fatti descritti, nella loro naturale cadenza, compongono un quadro drammaturgico di rara perfezione, a partire dalla scena inziale con la protagonista (Schneider), malinconica divorziata, che abortisce per il figlio avuto dal grossolano amante (Brassour).
Riallacciati i contatti con l’ex marito (Bruno Cremer), si ritrova di nuovo incinta, ma intenzionata, questa volta, ad affrontare in solitudine la nuova maternità.
Una trama “semplice“, che rischierebbe l’esilità se non fosse per l’inimitabile capacità registica di Sautet di filtrare le emozioni attraverso scene di vita vissuta, ricorrendo a un intimo realismo che si fissa nell’anima e nello sguardo come un marchio indelebile.
Al centro di “Une historie simple” Romy Schneider, di un fascino ultraterreno, una visione celestiale e malinconica che illumina con la sua presenza, una presenza che a ogni sguardo o movenza ci delizia e ci fa soffrire.
Candidato all’Oscar come miglior film straniero (gli yankee, nel 1980, gli hanno preferito l’isterico e datato Il tamburo di latta).
Sautet ci manca e ci mancherà.
Antonello Nessi