DE LITTERIS ET ARTIBUS – Il cinema ritrovato – Vivement dimanche (Finalmente domenica), Francois Truffaut (1983)
Il cinema è, fra le forme artistiche cui si rivolge la fantasia e l’intelligenza dell’uomo, la più recente (fine ‘800) altresì denominata ‘settima arte’: basandosi sul movimento riprodotto concreta una forma di narrativa normalmente di approccio più agevole o meno complesso rispetto alla lettura, ma in grado di ‘parlare’ ancor più direttamente allo spettatore (lettore).
Come ogni altra può rivelarsi assolutamente inutile oppure elevarsi a offrire esperienze e sensazioni di valore che, in virtù del mezzo tecnico costituito dal film, possono agevolmente essere riproposte nel tempo.
Con il titolo de “il Circolo del Cinema” pubblichiamo interventi su film che hanno fatto la storia e sono degni di memoria a cura di un appassionato cinèfilo.
Vivement dimanche (Finalmente domenica), Francois Truffaut (1983)
Impresario di un’agenzia immobiliare, Julian Vercel (J. L. Trintignant) è sospettato dell’omicidio di un uomo (e suo amico) durante una battuta di caccia. Si scoprirà che costui era stato l’amante di sua moglie.
Anche la stessa signora Vercel ben presto troverà la morte per mano di ignoti, ulteriore conferma, per la polizia, della colpevolezza di Julian.
Per fortuna c’è Barbara (Fanny Ardant), la segretaria dell’agenzia, che, intrepida e volitiva, aiuta Julian in fuga dalla polizia, riesce a incastrare l’assassino (l’avvocato Clement) il quale confessa gli omicidi e si suicida, sbroglia un mistero in cui è coinvolta la cassiera di un cinema, malviventi vari e persino un giro di equivoci night club.
Alla fine dell’avventura Julian e Barbara si sposano.
Il film è un thriller e nel contempo una commedia romantica di stile hollywoodiano.
E’ in bianco e nero (decisione coraggiosa e controcorrente nel 1982) e quasi tutte le scene sono girate di notte, con la pioggia.
L’eroina indossa sempre un impermeabile (come Bogart), ci sono locali notturni, prostitute, la malavita marsigliese, una splendida femme fatale, Marie Christine, la moglie infedele di Julian (Caroline Sihol).
È il ventesimo e ultimo cortometraggio del nostro caro Francois ed è innanzitutto un omaggio alla sua sfolgorante protagonista, Fanny Ardant, sua ultima compagna di vita che di lì a poco gli darà la sua terza e ultima figlia.
Il film viene presentato il 10 agosto 1983 e pochi giorni dopo, una sera dello stesso agosto, Truffaut ha un malore “come se un petardo mi fosse scoppiato in testa”.
La diagnosi è cupa: tumore al cervello e conseguente operazione, mentre alla fine di quel settembre nasce la figlia Josephine.
L’anno seguente, ancora in settembre, viene ricoverato in ospedale e muore il 21 ottobre del 1984.
Quasi con la premonizione di non avere più tempo e spazio per altro cinema, Truffaut, in questo suo ultimo film, ci riassume le tematiche a lui più care, richiamandoci echi di altre sue opere.
Julien in fuga dalla polizia e rifugiatosi in uno scantinato vede da un lucernario gambe femminili che passeggiano sul marciapiede sopra di lui (Analogamente Bertrand, il protagonista di “L’homme qui aimait les femmes”, le ammira da sottoterra nella sua dimora definitiva).
L’avvocato Clement (l’assassino) è preso dalla stessa ossessione di Alphonse in “La nuit americaine”: Le donne sono magiche?
Nell’ultima inquadratura del film si vedono dei ragazzini prendere a calci il coperchio dell’obbiettivo di una macchina da presa, come fosse una palla, e ci riportano alla centralità dell’infanzia, dell’innocenza e del gioco quale chiave di vita: e il pensiero corre al delizioso e tenero “L’argent de poche”.
Antonello Nessi