L’EDITORIALE – Flussi migratori
Sul tema importante e allo stesso tempo scivoloso dei migranti il neo governo tri-fasico (guidato dalla Lega) si è fatto prendere malamente le misure e rimediato una brutta figura a livello internazionale.
Non basta protestare che non ci si fa intimidire da nessuno o che non si prendono lezioni in tema di diritti umani, peraltro uno degli argomenti worlwide più (sfortunatamente solo in teoria) sostanziali e allo stesso tempo evanescenti per la generale e reciproca ipocrisia, quando poi i fatti corrispondono relativamente alle parole cui seguono strani silenzi.
Tant’è che è dovuto, sebbene al di fuori dei suoi compiti istituzionali, intervenire il Capo dello Stato il quale con gentile e opportuna sensibilità ha provato a medicare una frattura rudemente realizzatasi, dicono per inesperienza o impreparazione o supponenza di qualcuno, fra due Paesi alleati non di secondo piano, confinanti e ambedue primi fondatori dell’Unione.
Premesso che la questione dei migranti presenta molteplici soggetti, anche internazionali e Francia compresa, fra i quali i più sani sono a loro volta ammalati, l’approccio di ordine ideologico appare scontato, ripetitivo e nella pratica inutile oltre che dannoso in quanto tutti, ciascuno dalla propria parte, protestano a gran voce di proteggere diritti, di conoscere le regole, di contestare inadempienze altrui, di agire per il bene collettivo.
Gli scontri si accendono in occasione di sbarchi consistenti o di problematiche marittime -e quindi, nei fatti, sempre e solo a fronte di numeri consistenti- e poi cala l’incerta quiete fino alla prossima volta.
Un siffatto comportamento, noto e tipico modo di far sì che sia il tempo a chiudere (in qualche modo) un problema che non si può-vuole-riesce a risolvere, non funziona però quasi mai, a parte la sua dubbia efficienza, al di fuori delle contingenze e quella dei migranti non è per nulla una contingenza, ma uno scenario purtroppo stabile nella sua drammaticità per tempo in futuro neanche prevedibile.
Le migrazioni, nella storia degli eventi umani, là dove causate da obbiettivi bisogni, ci sono sempre state e sviluppato forze simili a quelle dell’acqua che scende verso il basso: dalle australopitecine che uscivano nella savana africana ai nomadi che hanno spazzolato l’impero romano senza considerare analoghe e vaste esperienze in Asia etc: illudersi di governare (rectius: impedire) flussi migratori come gli attuali sospinti da guerre senza fine, cambiamenti climatici, siccità e carestie facendo voce, grinta ferale e ammoina non è saggio e non ha senso, oltre che punto possibilità di soluzione, pur se si riesce, lì per lì, a dirottare altrove qualche nave (più o meno corsara) o a catturare qualche scafista di seconda o terza tacca.
Questa gente fugge da reali prospettive di morte e quindi (comprensibilmente) non la ferma neanche il rischio (del pari reale) di finire nel cimitero del Mediterraneo.
Così come far entrare quante più persone possibili sventolando tartufescamente la bandiera dei diritti (sempre loro) e poi lasciarle al loro destino o in mano alla malavita (caporali compresi) in un Paese dove, tra l’altro, un’amministrazione pubblica perennemente deficitaria e disorganizzata non svolge neanche un decente presidio del territorio non è essere ‘umani’, ma stupidi dato che si lascia aumentare a dismisura un problema, per di più aggravandolo, che poi rimane sulle spalle di coloro che verranno dopo.
L’Italia, tra l’altro, ha effettiva richiesta di vario lavoro quantomeno di un certo tipo, per mansioni che i nostri concittadini tendono a evitare (in agricoltura, industria, edilizia, terziario, sanità), ma che sono in ogni caso necessarie allo sviluppo o alla convivenza.
La legge Bossi-Fini non funziona e deve essere riformata o sostituita con una normativa (come esistente nella maggior parte dei Paesi) che regoli i flussi in entrata in rapporto alla domanda di imprese, enti e famiglie per il tramite di strumenti possibilmente legali (consolati) e non cercando di quietanzare chi, nella specie, dovrebbe intervenire sugli scafisti di casa propria (Italia compresa), ma, pur intascando, poi non lo fa perché è contro i suoi più diretti interessi ed è, inoltre, ingolosito dal continuo flusso di nuovi disgraziati.
Una volta era in voga la teoria che si dovesse aiutare la gente nelle sue residenze onde evitarne la fuga, ma l’efficacia di questa prospettiva, in teoria non priva di fondamento oltre che di logica, è vulnerata dal particolare che (buona) parte dei governi da cui fuoriescono i migranti sono (al netto delle crisi climatiche) senza speranza.
Considerata quindi la necessità (o priorità) di una nuova, ma efficiente normativa interna, cosa di cui non si sente però mai parlare pragmaticamente a livello politico, i rapporti inter-europei devono per forza di cose essere orientati al confronto, serrato per quanto si vuole od occorra, ma pur sempre confronto e alla cooperazione.
Anzitutto perché non c’è altra ipotesi per un’Italia che presenta metri e metri di coste protese nel mare, da qualche tempo non più tanto nostrum, e, similmente a una portaerei per i velivoli, meta di più facile approdo ai natanti rispetto a tante altre coste maggiormente lontane. Costruire una muraglia cinese sulle onde del mare tutta intorno agli italici bagnasciuga o contornarli con una estesa rete antisommergibile è, nonostante qualcuno la pensi, impresa di dubbia riuscita.
Più realistico, forse, lavorare con gli altri allo scopo di fare considerare i patrii confini non solo nostri, ma contemporaneamente anche dell’Europa con la conseguenza di una corresponsabilità solidale nelle scelte e nell’azione.
L’accordo del Trattato di Dublino è giunto alla sua terza revisione (la prima è del 1990, ma la situazione era ben differente, la seconda del 2003 con il governo Berlusconi e la terza del 2013 con il governo Letta che non ha proprio brillato per partecipata attenzione) e ha bisogno di una riforma profonda che tenga conto di come sia, nel tempo, precipitata la situazione.
Anche l’accordo europeo del 10 giugno scorso, realizzato come primo correttivo delle storture del Dublino, in particolare per aiutare i Paesi che, a motivo della loro posizione geografica, devono gestire il maggior numero di sbarchi, è un meccanismo volontario di solidarietà e quindi tra l’altro non obbligatorio, onde prendere di punta i Colleghi europei, per quanto legnosi e antipatici costoro possano essere, è (comunque in assenza di alternative reali) non solo inutile, ma controproducente. E molto.
E rivisitare anche, magari, il variegato e non sempre trasparente mondo delle ONG, in cui di certo operano enti di gran lunga meritori, allo scopo di verificare che anche chi è impegnato nel salvataggio dei naufraghi lo sia non sarebbe una cattiva idea.