L’EDITORIALE – Migranti o rifugiati?
Una nota pubblicata da AGI il 13 marzo scorso sintetizza un recente studio dell’Università di Birminghan, a opera della professoressa Dagmar Divjak, docente di Linguistica Cognitiva e Cognizione del Linguaggio, che riguarda i significati impliciti di due termini ricorrenti a livello mediatico come migrante e rifugiato.
L’analisi, utile altresì per ancor meglio spiegare l’uso delle parole sul piano socio-politico e comunicativo, parte dall’esame dei notiziari BBC in cui, a proposito delle persone che tentano di raggiungere l’isola attraversando la Manica con mezzi di fortuna, i giornalisti -senza nulla sapere di chi sta su quei barconi- usano il termine di ‘migrante’ e non, e.g., quello di ‘rifugiato’ o ‘richiedente asilo’ o ‘profugo’.
Nel British National Corpus (BNC), un database di cento milioni di parole tratte dai più vari contesti, ‘rifugiato’ ha forti associazioni con ‘politico’ e ‘genuino’, mentre ‘immigrato’ con diverse altre la più presente delle quali è ‘illegale’.
Oltre al BNC, che è degli anni ’80/’90, anche il visualizzatore Ngram di Google, che permette di cercare centinaia di milioni di parole dall’800 fino al 2019, restituisce il medesimo schema: una frequenza molto più alta per ‘immigrato illegale’ che per ‘rifugiato illegale’ o ‘richiedente asilo’ (espressioni praticamente inesistenti) e quindi i rifugiati continuano a essere visualizzati -con l’automatismo prodotto dalla ripetizione- nell’area politica mentre i migranti sono fortemente associati all’area economica.
L’espressione continua a crescere in frequenza d’uso così come cresce, in proporzione, il suo significato implicito (cioè non è più necessario aggettivare il termine) e quindi la conseguente percezione sia di chi parla sia di chi ascolta.
Onde i rifugiati tendono a fare appello a valori etici umani e la risposta, per coloro che attraversano la Manica sui barconi, sarebbe anzitutto di salvarli dai pericoli del mare e poi accoglierli, dopo tutto quello che hanno passato, mentre se sono migranti, cioè in viaggio per motivi economici, costoro toglieranno il lavoro. E allora queste persone non le vogliamo e se insistono a venire, allora i guai in cui potrebbero cacciarsi mentre attraversano la Manica sono una loro scelta… devono essere rispediti da dove sono venuti.
Che è in sostanza non dissimile da quanto detto dal ministro dell’Interno italiano a ridosso del recente naufragio sulle coste calabresi.
E così si giunge al punto: le parole hanno loro significati propri e, da sole o in associazione, anche impliciti per cui la loro scelta non è mai neutra.
Talvolta, nell’uso comune, la scelta (errata) può avvenire per leggerezza o ignoranza o conformismo, ma nell’uso socio-politico no: essa è sempre finalizzata e, in particolare, a produrre una percezione, anche implicita che è la più viscida perché opera inconsciamente, la quale orienti o comunque vada nella direzione voluta da chi la utilizza.
E se poi le parole sono usate spesso insieme, in associazione, basta usarne una per attivare implicitamente l’altra. Il linguaggio non può alterare la realtà, ma contribuisce a descrivere come la si percepisce.
Scegliete le parole con saggezza esorta in conclusione la professoressa Divjak, ma in politica la saggezza assume talvolta significati diversi da quelli che, di norma, la parola tende a delineare.
Parlando ora non più della English Channel, ma del Mare Nostrum, la scelta di usare ‘migrante’ è un atto politico consapevole in rapporto a una visione di scenario come delineato, quantomeno, da determinati specifici soggetti che, allo stato, hanno potere politico.
Ed è propriamente sul piano politico che deve (dovrebbe) essere discusso (almeno) con un minimo di onestà intellettuale da parte di chi ha, sempre allo stato, la delega democratica da parte del popolo a governare.
I media, sfortunatamente, ripetono a pappagallo quello che sentono da politici e ministri e oltre a fornire notizie, peraltro non di rado dietro la lente delle rispettive ideologie, ben si guardano dal promuovere anche solo qualche occasione di riflessione.
Sotto il profilo soggettivo qualificare migranti, cioè mossi da motivi economici, gli afgani (come anche i siriani o chi tenta di sottrarsi a conflitti armati senza fine e di ogni genere etc) mette dubbi sulla buona fede del soggetto o sulla sua conoscenza della realtà che lo circonda. Dubbi che rivolti a politici in servizio attivo inducono brividi.
Sotto il profilo oggettivo pensare di costruire un muro (in stile Trump vs Mexico) che galleggi sul Mare Nostrum intorno all’Italia la quale è una penisola messa dalla natura nella posizione in cui, peraltro, si trova da tempo (e ci sono stati anni in cui faceva anche comodo) non sembra soluzione efficace. Così si finisce ai consueti contrasti di competenze fra organici dei ministeri, come Guardia costiera e Finanza e Pubblica sicurezza, anche se poi non è da escludere che ai rispettivi vertici, fra i ministri, le vedute siano più omogenee di quanto non appaia a livello dei subordinati destinatari di ordini. E si rimediano figuracce consolidanti lo stereotipo di Paese inaffidabile e disorganizzato che certo non aiutano la comunque ineludibile interlocuzione internazionale.
Quindi un approfondimento atto a chiarire la differenza esistente fra questi due macro-insiemi e le rispettive procedure di gestione si presenta come preliminare e necessario.
I flussi in atto riguardano infatti sia rifugiati/profughi sia migranti e non è nemmeno detto, a rendere più complessa la realtà di questo mondo in scivolata continua sul piano inclinato dietro ai rispettivi cinguettanti condottieri, che non esistano anche combinazioni di ambedue le condizioni. Per ulteriore disgrazia di coloro che vi sono, loro malgrado, coinvolti.
Sarebbe poi anche il caso di ricordare, a chi non lo sa, che appena una manciata di anni or sono anche da numerose regioni italiane (e)migrarono consistenti flussi di cittadini strapelati cui la Patria non riusciva a dare sostentamento (dal database NBC poco dopo ‘migranti’ escono Italia e Irlanda, guarda che combinazione) e che ora, a sentire esponenti del governo della Repubblica, mancherebbero a industria, agricoltura e terziario circa un mezzo milione di persone per coprire quei ruoli -in fondo alla scala- che i concittadini generalmente non accettano più.
Una parte non indifferente, poi, di rifugiati (paradossalmente il ministero dell’Interno è competente anche per l’asilo) o di migranti nemmeno ha l’Italia come obiettivo, ma il ricongiungimento con parenti già stanziati in altri Paesi UE.
Una collaborazione sostanziale con la UE è condizione assoluta perché è evidente che i barconi, con qualsivoglia specie di carico, continueranno a preferire Sicilia o Lampedusa alle Isole Frisone per cui -invece di accese polemiche e di fiumi verbali di cui è prodigo il Belpaese (a proclami e canzoni avrebbe vinto la guerra) vanno ingaggiati i partner in una trattativa seria ed efficace, di sicuro dura e complessa, ma comunque inevitabile dove ciascuno si prenda, anche se non vuole, la propria responsabilità e cooperi a governare al meglio questo destabilizzante processo.
Perché se da un lato è vero che non si possono accogliere tutti, e non può certo farlo un solo Paese anche per gli altri a motivo della sua (infelice) posizione geografica, è dall’altro del pari vero che come la Storia registra gli spostamenti di popolazioni per qualsivoglia motivo (poi sempre i medesimi) sono come l’acqua: da incanalare, se no inarrestabili.