DE LITTERIS ET ARTIBUS – il Cinema ritrovato – Le dernier métro (L’ultimo metrò), Francois Truffaut (1980)
Il cinema è, fra le forme artistiche cui si rivolge la fantasia e l’intelligenza dell’uomo, la più recente (fine ‘800) altresì denominata ‘settima arte’: basandosi sul movimento riprodotto concreta una forma di narrativa normalmente di approccio più agevole o meno complesso rispetto alla lettura, ma in grado di ‘parlare’ ancor più direttamente allo spettatore (lettore).
Come ogni altra può rivelarsi assolutamente inutile oppure elevarsi a offrire esperienze e sensazioni di valore che, in virtù del mezzo tecnico costituito dal film, possono agevolmente essere riproposte nel tempo.
Con il titolo de ‘Il Cinema ritrovato’, pubblichiamo alcune pennellate sulla scuola francese (storicamente sorta con gli inventori Lumière) a cura di un cinèfilo che la conosce sia nella cultura generale sia nei suoi protagonisti.
Le dernier métro (L’ultimo metrò), Francois Truffaut (1980)
Il film è ambientato nella Parigi occupata dai nazisti, nel 1942.
Nel Teatro Montmartre, di cui la diva Marion Steiner (Catherine Deneuve) s’improvvisa capocomico e si sforza di portare avanti le attività pure dopo la fuga del marito impresario, Lucas Steiner (Heinz Bennet), costretto a nascondersi nei sotterranei dell’edificio in quanto ebreo.
Alla compagnia, che tra mille difficoltà cerca di mettere in scena “La scomparsa”, dramma immaginario affine ai classici di Ibsen o Strinberg, si unisce Bernard Granger (Gérard Depardieu), attore giovane, donnaiolo e attivo nella resistenza col quale Marion avrà una relazione.
Il Teatro è il cuore del film, ma Truffaut va oltre e ci immerge nei dettagli della vita quotidiana in Francia, fra narrazione storica e sentimenti privati, durante l’occupazione nazista con la costante atmosfera di sospetto e paura dove si trafficava alla borsa nera, si covava la diffidenza verso i vicini, si denunciavano gli ebrei, si nascondevano gli ebrei, si collaborava con gli invasori, li si combatteva militando nella Resistenza.
E’ il passato (quello della sua infanzia al tempo di guerra) che Truffaut ci vuole spiegare e dispiegare, a partire da un episodio del tutto personale: il bimbo cui la mamma lava la testa subito dopo che un soldato nazista l’ha accarezzata è lui, il piccolo Francois (a farlo fu la nonna, non la mamma).
Il titolo del film è suggerito da questi dettagli di vita: alle 23 passava l’ultimo metrò, cominciava il coprifuoco e anche gli spettacoli dovevano terminare
Truffaut fa di Marion il centro degli interessi degli uomini (e delle donne) che le orbitano intorno.
La seguiamo nel suo destreggiarsi nel rapporto col marito, costretto a nascondersi, ma che vuole continuare a mantenere il controllo sul teatro, sul dramma, sulla moglie; nei rapporti con le autorità tedesche, particolarmente sgradevoli; nel rapporto con Bernard, così vitale e quasi brutale, ma affascinante; nel rapporto con gli attori, il regista, i mestieranti e nel ruolo, per lei nuovo, di capocomico.
E’ il ritratto di una donna padrona di se stessa, delle sue scelte e anche dei suoi errori che viene magnificamente portato sullo schermo da una Deneuve straordinaria, al suo meglio di attrice e donna.
Nel film sono presenti temi cari al regista: l’analisi di una passione che è in grado di limitare o addirittura stravolgere la capacità di giudizio delle persone, l’amore per i libri, il teatro nel teatro, il valore della tolleranza e del rispetto dell’altro.
Bravi tutti gli attori: oltre alla Deneuve, spiccano Depardieu, estremamente convincente in una parte che è diventata un tratto della sua personalità e Andréa Ferréol nel cameo della scenografa lesbica. Azzeccatissime le musiche di Georges Delerue che fin dai titoli aiutano a calarsi nel clima della Parigi occupata.
Lo strepitoso successo del film, suggellato dalla vittoria di ben dieci premi César nell’edizione del 1980, rappresentò l’ennesimo vertice nella produzione di Truffaut, che purtroppo non ebbe il tempo di completare la sua ideale trilogia dedicata al mondo dello spettacolo.
E il finale di Le dernier métro, coronato dagli applausi con cui il pubblico accoglie la performance di Marion e Bernard a guerra appena conclusa, è una sintesi perfetta della celebrazione di una mise en scène che trionfa sulle storture del ‘mondo reale’, ovvero dell’esaltazione del teatro, dell’arte -e quindi, inevitabilmente, del cinema- come più sublime reazione a quel carico di sofferenza che contraddistingue il percorso esperienziale di ciascun essere umano.
Antonello Nessi