APOCRIFA – Ecologia
Soleva avvertire Marcello Comel -fondatore della Institutio Santoriana Fondazione Comel, il quale oltre a grande clinico fisiologo e dermatologo fu anche solitario precursore delle problematiche ambientali- che se non ci fosse stato un ritorno della civilizzazione verso l’uomo (da lui indicato come Umanesimo), in prospettiva e secondo natura, la macchina si sarebbe progressivamente mangiata l’umano.
Comel scriveva di ambiente ed ecologia più di mezzo secolo or sono quando i termini ‘ambiente’ ed ‘ecologia’ non erano ancora conosciuti fuori da una ristretta cerchia di studiosi operante a livello scientifico e di ricerca in qualche laboratorio o facoltà in giro per il mondo.
Tanto meno erano noti a media e politici in genere che nemmeno ne conoscevano ancora il significato.
Il concetto di ‘macchina’ è estensibile al pari, se non più, della stessa immaginazione e, almeno per quanto rileva in queste poche rapide considerazioni, parte dalla rivoluzione industriale (fine del 18° e prima metà del 19° secolo) e segnatamente dall’introduzione della macchina nell’industria: la grande trasformazione delle strutture produttive (e necessariamente socio-politiche) determinata dalla rapida affermazione di nuove tecnologie, in primis della macchina a vapore, fu il motore non mai fermo della moderna civiltà cui si devono, tra l’altro, le grandi scoperte e le grandi innovazioni che hanno modificato il modo di vivere degli umani, compresi i mezzi bellici i quali non hanno certamente amplificato il ricorso alla guerra (gli uomini si sono sempre reciprocamente eliminati con inesausto entusiasmo), ma l’hanno resa più efficace e letale.
Il rapporto dell’umano con la macchina è, da sempre, ambiguo e pericoloso e denso di incognite a causa ovviamente dell’uomo e della sua incessante ricerca di potere, ai vari livelli, sui propri simili: tale rapporto richiederebbe infatti sul piano culturale e socio-politico equilibrio e lungimiranza e sobrietà, vale a dire senso della misura in termini di considerazione e rispetto non solo per i propri simili, ma anche per il contesto in cui si svolge la vita, non solo umana, e conseguente proporzionalità con i suoi ritmi e con quanto la natura può sia produrre sia al medesimo tempo ricomporre e restituire.
Né la risposta umana alla macchina può essere, perché contro ragione, il luddismo (sebbene, a modo suo, qualche fondamento l’avesse anche) o l’anti-politica dei verdi duri e puri per cui -a tutto e per tutto- la risposta è regolarmente no, sempre no, fortissimamente no.
Onde la risposta dovrebbe essere usare la macchina in modalità consapevolmente responsabile, per trarne benefici individuali e collettivi, ma non farsene vassalli per scopi di ogni genere fra cui, anche intuibili, quelli resi dalla macchina più agevolmente alla portata (di colui che se ne impadronisce) e tuttavia non etici.
La macchina, intesa e. g. come veicolo, si è già mangiata lo spazio infrastrutturale della città: prima fila in sosta permanente e seconda quanto basta per la necessità contingente, ma senza interruzione del momento. Ogni strada, anche se larga (e nella topografia cittadina tipica non ce ne sono poi tante), diventa stretta e i marciapiedi, a loro volta difficilmente spaziosi, sono dedicati a motorini, biciclette e monopattini preferibilmente lasciati alla rinfusa.
Ma la macchina non è solo l’auto o la moto o il monopattino.
Ci sono macchine che, presentate dai loro utilizzatori (pubblici e privati) come facilitatrici del reciproco contatto e di maggior comodità per l’utente, in realtà costruiscono un diaframma tecnologico sempre più articolato che ha, nei fatti, l’evidente scopo di risparmiare sul lavoro e al contempo di selezionare, restringendone la cerchia, i mai graditi (indipendentemente dalle ipocrite dichiarazioni di principio) potenziali interlocutori: in primis a danno della popolazione anziana e, in particolare, di quella in solitudine che se nel passato era pur in grado di telefonare in autonomia a un ufficio informazioni qualsivoglia, ora deve dipendere da chi conosca quel tanto sufficiente di tecnologia informatica.
Per uno scenario di popolazione che mediamente invecchia senza rimedio non è, nella sua indecenza civile, mal congegnata questa scelta strategica: si costringe la fascia anziana, ammesso che ne abbia i mezzi, a munirsi di dispositivi fissi o mobili (PC, tablet) e oltre alla ferraglia elettronica impadronirsi dei modi operandi i quali, a onta delle accattivanti presentazioni dei produttori e venditori, sono agevoli solo per i più giovani: oltre alla badante classica oramai entrata nell’uso, quindi, segue anche la badante info-comunicativa.
A cosa, poi, la dipendenza dalla macchina possa condurre coloro che di badanti non hanno (ancora) necessità, è delineato in modo scientifico nello Approfondimento odierno di Davide Caramella (Nomophobia): piccoli brividi se dal telefonino si passa alla IA.
Ma la macchina continua la sua irresistibile ascesa sulle ali dorate non tanto solo del progresso (e. g. nelle cure mediche impensabili solo pochi anni or sono) quanto dell’aumento del profitto immediato per chi ne usufruisce stando dalla parte giusta del tavolo.
La città di Milano, a detta degli esperti unica città ‘europea’ della Penisola, ha recentissimamente inaugurato, dopo anni di tribolazioni (in ispecie per la cittadinanza) e grande giubilo (comprensibile) della pubblica amministrazione, una prima parte della nuovissima linea metropolitana: la 4 Blu: essa conduce, per ora, dal centro (San Babila) all’aeroporto di Linate.
Ovviamente è tutta automatica (cioè anche senza conducente), al pari di quelle delle città europee con le quali la città meneghina si compiace di confrontarsi, ma la macchina talvolta comanda: a San Babila alcuni tornelli di ultima (si confida) generazione, alcuni fuori uso ab initio e bloccati con il nastro isolante, tendevano a succhiare il biglietto, ma non si aprivano onde il solerte preposto interveniva a far passare il viaggiatore e poi, e. g., alla fermata di destinazione non si aprivano a costo di integrare un comportamento antipaticamente non dissimile dal sequestro di persona. Sempre che un impaziente forzuto, prima o poi, non risolvesse il problema prima dei tecnici informatici con un maleducato spintone.
Ci saranno stati di certo ancora problemi di messa a punto del software o d’altro, ma comunque sono indicativi di un difficile equilibrio.
Non c’è da stupirsi: niente di nuovo sotto il sole (che in questo periodo si fa anche sentire) e tutte le civiltà ben prima della macchina si avvalevano del lavoro servile, a chilometro zero oppure illimitato, per contenere il costo del fare: da quelle della Mezzaluna fertile e dell’Egitto in poi, passando per Atene e Roma, tutte le vestigia che distratti turisti di massa e specchiati studiosi guardano e ammirano oggi più o meno estasiati con il naso per aria sono state costruite passando sopra innumeri morti senza nome né voce.
L’impresa di ogni tempo, in sua buona parte (gli Olivetti non sono mai maggioranza), sogna da sempre gli schiavi o i semi-schiavi e solo leggi etiche mettono, quando riescono, limiti al sopruso.
Così, fra gli altri, gli Stati Uniti che si sono scannati a vicenda per la schiavitù senza però risolvere del tutto il problema e così -solo per fare un esempio- vergognosamente (lo sanno tutti, a partire dalle PA) quando ci riescono anche tetri operatori del Bel Paese con i negri attuali.
Ora la schiavitù, si capisce modernizzata nella forma della comunicazione politicamente corretta, è statalmente legale nel vasto Oriente e, in modo anche indiretto, nei Paesi in via (e quale via) di sviluppo ove fanno lavorare i bambini di ogni età così come in Occidente, Inghilterra in primis, al tempo della Rivoluzione industriale (ma non solo).
La macchina serve egregiamente allo scopo (si capisce quando funziona) e prende con meno clamore il posto del vagheggiato servo il quale, se può, ha pure il vizio di nicchiare.
E’ noto infatti come anche i coltivatori di cotone degli Stati del sud recriminassero, ohibò, che i negri fossero di natura pigri e dediti alla menzogna.
La macchina al posto dell’uomo è quindi niente altro che una modernizzazione del sogno di sempre e l’intelligenza artificiale ne è allo stesso tempo binario e convoglio: i manovratori sono, per ora, ancora umani, ma fra di loro ce ne sono sfortunatamente di tutti i tipi e, talvolta, la moneta cattiva scaccia quella buona.
E per terminare, si fa per dire perché l’argomento è senza fine come la classica vite, qualcuno avrà forse osservato -a proposito del variabile rapporto dell’umano (sorretto solo dalla sua intelligenza e capacità) con la natura circostante- come i quattro bambini (da 13 anni al piccolissimo di 1 anno compiuto nella giungla) superstiti del disastro del Cessna precipitato nella foresta colombiana e ivi sopravvissuti per 40 giorni siano stati salvati dalle conoscenze ancestrali, trasmessele dalla nonna, della sorellina maggiore, laddove un iper-tecnologico occidentale pur fornito di visore ultimo modello e tablet avveniristico, rimasto con le batterie scariche, si sarebbe probabilmente arreso un po’ prima: in medio stat virtus.
LMPD