HomeDe Litteris Et ArtibusDE LITTERIS ET ARTIBUS – Il cinema ritrovato – Amici miei, Mario Monicelli (1975)

DE LITTERIS ET ARTIBUS – Il cinema ritrovato – Amici miei, Mario Monicelli (1975)

Il cinema è, fra le forme artistiche cui si rivolge la fantasia e l’intelligenza dell’uomo, la più recente (fine ‘800) altresì denominata ‘settima arte’: basandosi sul movimento riprodotto concreta una forma di narrativa normalmente di approccio più agevole o meno complesso rispetto alla lettura, ma in grado di ‘parlare’ ancor più direttamente allo spettatore (lettore).
Come ogni altra può rivelarsi assolutamente inutile oppure elevarsi a offrire esperienze e sensazioni di valore che, in virtù del mezzo tecnico costituito dal film, possono agevolmente essere riproposte nel tempo.
Con il titolo de “il Circolo del Cinema” pubblichiamo interventi su film che hanno fatto la storia e sono degni di memoria a cura di un appassionato cinèfilo.

Amici miei, Mario Monicelli (1975)

Non possiamo partire se non dai protagonisti:
il Conte Mascetti è un nobile decaduto, costretto a vivere in assoluta povertà e a essere mantenuto dagli amici, il quale per confondere e prendere in giro le persone con cui parla fa spesso uso di giochi di parole senza senso, da lui chiamati “supercazzole”.

Il Melandri, unico tra i protagonisti a non essere mai stato sposato, è un architetto impiegato in Comune alla perenne ricerca di una donna e che per amore sarebbe anche disposto ad abbandonare i suoi amici, salvo ravvedersi all’ultimo momento.

Il Perozzi è un redattore capo di cronaca che cerca di sfuggire alla disapprovazione per la sua poca serietà e per le sue avventure extraconiugali da parte del figlio e della moglie.

Il Necchi gestisce con la moglie Carmen un bar con sala da biliardo, luogo d’incontro del gruppo di amici.

Ai quattro, amici fin dai tempi della scuola, si aggiunge in un secondo tempo il Professor Sassaroli, brillante e famoso medico a capo di una clinica in collina a Pescia, annoiato dalla professione, che diventa in breve tempo uno dei pilastri del gruppo.

Il redattore Perozzi esce dal lavoro all’alba e dichiara di non avere nessuna voglia di andare a casa a dormire, desiderando invece scappare via con i suoi migliori amici; con loro ha intenzione di partire su due piedi per una delle loro zingarate, ossia fuga dalle loro grigie realtà per stare in compagnia a scherzare. Così passa a prendere gli altri per partire tutti insieme.

Il Sassaroli incontra per la prima volta gli altri quattro quando questi finiscono ricoverati nella sua clinica, feriti in un incidente durante una delle loro zingarate: così i quattro amici trasformano la loro degenza in un periodo di caos e il professore si dimostra immediatamente degno del loro stile sottoponendoli a cure fastidiose e dolorose.

Il Melandri si innamora di una donna che incontra nel reparto di psichiatria, Donatella, che scopre essere la moglie del Sassaroli, il quale non esita a cedergliela, accompagnata però dalle due figlie, dall’enorme cane Birillo e dalla governante tedesca. I due si accordano perché il Sassaroli venga a visitare moglie e figlie di tanto in tanto.

Dopo un lungo periodo senza contatti con gli amici, il Melandri confessa loro di non essere in buoni rapporti con il Sassaroli, il quale non perde occasione per criticare lo stile di vita umile dell’architetto.

I tre vengono invitati a una cena, durante la quale approfittano per vendicarsi della fuga del Melandri e, finalmente, convincerlo a lasciare Donatella. Per sfogarsi vanno tutti e cinque alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze a inscenare la loro zingarata più famosa: schiaffeggiare i passeggeri affacciati ai finestrini dei treni in partenza.

In un’altra famosa zingarata, i cinque si presentano in un paesello fingendo di essere ingegneri e geometri che eseguono misurazioni per abbattere gli edifici e costruire un’autostrada, lasciando così la popolazione nel panico più totale.

Il conte Mascetti, di effettive origini nobili, ha scialacquato tutte le immense ricchezze sue e della moglie Alice; costretto a vivere con la vendita di enciclopedie, ha mandato moglie e figlia a vivere a Gavinana (Pistoia), alle spalle di un conoscente, e per un periodo è stato ospitato prima dal Necchi e poi dal Perozzi, fino a quando gli amici hanno trovato una casa per lui e per la sua famiglia in uno squallido scantinato, di cui gli pagano i due terzi dell’affitto.

Il Mascetti ha da tempo una relazione extraconiugale con la Titti, giovane studentessa figlia di un colonnello in pensione, della quale è pazzo di gelosia, poiché spesso ella si rende irrintracciabile: la scoprirà infine a letto con un’altra donna.

E’ da un’idea del Necchi che nasce lo scherzo più elaborato e sadico del gruppo, che assolda un anziano e goloso pensionato che il barista ha identificato tra i suoi migliori clienti, il signor Nicolò Righi, e fingendo i cinque di essere una banda di spacciatori in lotta con i marsigliesi, un clan rivale, la quale ha bisogno di un basista.

Il Righi viene quindi sballottato per la provincia, incappucciato e spaventato, con la promessa di guadagnare facilmente milioni di lire che mai arrivano. A intervenire è infine Carmen, la moglie del Necchi, minacciando di spifferare tutto al Righi se il marito non la smetterà di assentarsi dal lavoro.

I cinque concludono lo scherzo fingendo di affrontare un regolamento di conti con i marsigliesi in un cantiere abbandonato in cui il Sassaroli, nel ruolo del boss, finge di venire ucciso e dopo lo scontro viene ordinato al Righi di allontanarsi, caricato quindi a forza su un treno per Reggio Calabria.

Terminata la giornata in cui il Perozzi rievoca questi episodi, tutti decidono di tornare a casa a dormire, ma il Perozzi, appena andato a letto, viene colpito da un infarto e muore sotto gli occhi degli amici, nell’indifferenza della moglie e del figlio.

Anche in punto di morte, tuttavia, è pronto a beffare il prete giunto per l’estrema unzione, pronunciando una supercazzola come confessione. Durante il suo funerale sopraggiunge il Righi, tornato nel frattempo da Reggio Calabria, perplesso nel vedere il Sassaroli vivo e vegeto, e viene convinto che il defunto Perozzi sia stato eliminato per tradimento dagli altri, che crede ancora essere dei malavitosi: i quattro sghignazzano durante il corteo funebre.

Amici miei è un film italiano del 1975 diretto da Mario Monicelli ed è il primo della serie che continuerà nel 1982 con Amici miei – Atto IIº, sempre con la regia di Monicelli, e nel 1985 con Amici miei – Atto IIIº, con la regia di Nanni Loy.

Il progetto del film apparteneva a Pietro Germi, che non ebbe la possibilità di realizzarlo a causa del sopraggiungere di una grave malattia e nei titoli di testa del film si è voluto rendere omaggio all’autore con la scritta «un film di Pietro Germi» cui segue «regia di Mario Monicelli».

Alcune curiosità: il cast prevedeva originariamente la partecipazione di Marcello Mastroianni nel ruolo del nobile decaduto, mentre Ugo Tognazzi avrebbe dovuto interpretare il giornalista; Mastroianni però rifiutò la parte perché riteneva che nei film corali la sua prestazione venisse sempre superata dagli altri attori co-protagonisti.

La parte del nobile decaduto fu proposta allora da Monicelli a Raimondo Vianello, ma anche Vianello oppose un rifiuto. Il personaggio fu allora assegnato a Tognazzi e per la parte del giornalista fu ingaggiato invece Philippe Noiret, che con Tognazzi aveva già lavorato due anni prima nel film di Marco Ferreri La grande abbuffata.

Di rilievo anche la partecipazione dell’attore francese Bernard Blier, nella macchietta molto divertente del credulone Signor Righi.

 

Antonio Grossi

 

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