DE LITTERIS ET ARTIBUS – il Cinema ritrovato – AMOUR di Michael Haneke (2012)
Il cinema è, fra le forme artistiche cui si rivolge la fantasia e l’intelligenza dell’uomo, la più recente (fine ‘800) altresì denominata ‘settima arte’: basandosi sul movimento riprodotto concreta una forma di narrativa normalmente di approccio più agevole o meno complesso rispetto alla lettura, ma in grado di ‘parlare’ ancor più direttamente allo spettatore (lettore).
Come ogni altra può rivelarsi assolutamente inutile oppure elevarsi a offrire esperienze e sensazioni di valore che, in virtù del mezzo tecnico costituito dal film, possono agevolmente essere riproposte nel tempo.
Con il titolo de ‘Il Cinema ritrovato’, pubblichiamo alcune pennellate sulla scuola francese (storicamente sorta con gli inventori Lumière) a cura di un cinèfilo che la conosce sia nella cultura generale sia nei suoi protagonisti.
AMOUR
di Michael Haneke (2012)
George e Anne sono due maestri di musica in pensione che vivono la loro vita tra concerti, ricordi, vecchi allievi e una quotidianità che li porta a una esistenza serena e lieta.
La loro tranquilla routine è minacciata dalla scoperta dell’ictus di Anne che progressivamente si aggrava e mette tutto in discussione, porta tutto al collasso.
L’infarto celebrale e la conseguente umiliazione che la donna è costretta a vivere, nella totale dipendenza dal marito, che la accudisce amorevolmente ma sempre più con difficoltà fisica e psicologica, porta la situazione agli estremi, facendole balenare, nei pochi istanti coscienti e razionali che ancora riesce ad avere, il desiderio di trovare al più presto una fine.
Così, l’uomo, compreso lo stato d’animo e il desiderio della donna, in un momento di esasperazione decide di darle ciò che lei vuole, la morte, soffocandola con il cuscino.
In tal modo, con una nota di tragicità, si conclude la loro vita in comune e allo stesso tempo anche Amour.
Il film è la cronaca tagliente e feroce di un tratto di vita di due individui che si amano, ed è intriso di un realismo crudele e raggelante che non concede nulla al sentimentalismo né suggerisce giudizi etici e morali in relazione al tema delicato e controverso del fine vita e della eutanasia.
Il racconto è ritmato e reso quasi ossessivo dall’insistenza dei piani sequenza sui volti e movenze di George e Anne: sul corpo di lei che di giorno in giorno si trasforma in un involucro rigido e deformato, sui gesti di Georges che tenta di ristabilire la normalità o quanto meno di limitare i danni della malattia sul corpo della moglie.
L’ostinata indagine e cronaca sulle azioni più banali e al contempo devastanti per la dignità umana (l’abbandono fisico e non controllato nei confronti di un’altra persona, il venir meno della propria indipendenza, il dover abdicare la propria libertà, l’affetto che diventa compassione e dolore lancinante anche per chi è testimone della tragedia) sono resi ancora piu’ intensi dal nostro ricordo di cinefili dei visi e dei corpi dei due attori, belli e magnifici in altri tempi e in altri film e qui riproposti senza filtri e finzioni nella loro essenza reale di persone cariche di anni.
L’argomento trattato ci rimanda (con altri toni, ritmi e contesti, in ragione delle profonde differenze culturali fra i due mondi e modi di fare cinema, Francia e USA) al capolavoro assoluto del grande Clint Eastwood, “Million dollar baby” (2004), 4 Premi Oscar.
Che dire degli interpreti.
In una scarna dimensione teatrale (un palcoscenico/appartamento) due interpreti giganteschi Jean-Louis Trintignant (George) e Emanuelle Riva (Anne), due nomi che hanno fatto la storia del cinema francese e non solo.
Per lei basta evocare “Hiroshima mon amour” (Resnais 1959), per lui “Un uomo e una donna” (Lelouch 1966)
Qui, ancora una volta, ci danno una riprova della loro sapienza interpretativa fatta di gesti, sguardi, cadenze contenute, mai istrioniche.
Il film nel 2013 vince per il miglior film straniero all’85esima edizione della premiazione degli Oscar e la Palma d’oro alla 65esima edizione del festival di Cannes (dove l’interpretazione dei due attori venne suggellata da un interminabile applauso a scena aperta).
Antonello Nessi