DE LITTERIS ET ARTIBUS – Il Cinema ritrovato – François Truffaut (1932 – 1984)
Nasce a Parigi il 6 febbraio 1932, uno dei più importanti autori del cinema francese, protagonista di una nuova corrente cinematografica, la Nouvelle Vague, destinata a lasciare un segno indelebile.
Regista, sceneggiatore, produttore, attore, segnato da un’infanzia travagliata (il padre biologico non lo riconosce, il rapporto con la madre è complicato così come quello con l’istituzione scolastica) trova uno sfogo nella passione per il cinema, che gli consente un’evasione dal reale.
Giovane cinefilo che, all’inizio degli anni Cinquanta, inventa un nuovo modo di fare critica, scopre (e toglie dal limbo di cineasta di serie B, come era considerato dalla critica del tempo) Hitchcock, bistratta il paludato cinema francese allora in auge, ama il neorealismo italiano.
Il suo primo lungometraggio “Les quatre-cents coups” (1959 “I quattrocento colpi”), fu subito un trionfo. Il film ottenne il premio per la Miglior regia al Festival di Cannes e diede il via al “ciclo Antoine Doinel”, dal nome del suo giovane eroe interpretato da Jean-Pierre Léaud.
Cinque film in cui Léaud ha la stessa età di Antoine: insieme crescono, maturano invecchiano; Léaud sembra essere l’alter ego del regista.
Ammiriamo la sua tecnica e amiamo la tenerezza alla base della sua sensibilità cinematografica, soprattutto per la meravigliosa visione dei bambini (Gli anni in tasca, 1976) e delle donne (L’uomo che amava le donne, 1977).
Nei suoi film arte e vita che si specchiano e si intersecano alla ricerca di una verità malinconica, appassionata, poetica.
E’ l’artista che sa trasformare il personale in universale e rivolgersi a tutti gli spettatori, ma parlando a uno a uno, confidenzialmente.
Il mio primo incontro con François avvenne dalla parte giusta, cioè dalla parte del cuore.
In una afosa notte giovanile di agosto, dopo una delle solite serate con gli amici, a parlare ingenuamente di futuro e a vanvera di donne, tornato a casa, casualmente, mi imbattei in TV nella sua seconda opera cinematografica, il cortometraggio “Les Miston” (L’età difficile, letteralmente I monelli – 1957).
Les Miston in sintesi: cinque giovanissimi trascorrono l’estate spiando una giovane coppia di innamorati: Bernadette e Gérard.
È la storia dei loro primi turbamenti amorosi davanti alla bellezza solare di Bernadette, verso la quale reagiscono cercando di rendere la vita impossibile alla coppia (li seguono, li spiano, scrivono di loro sui muri).
Il film termina con la partenza di Gérard per una spedizione alpinistica in cui troverà la morte: i ragazzi accoglieranno la notizia con indifferenza.
Rimasi folgorato da due scene.
La prima: il piano sequenza delle gambe di Bernadette, la protagonista (Bernadette Lafont), che pedala quasi danzando con la gonna svolazzante lungo l’alzaia del fiume per raggiungere il suo convegno amoroso.
La seconda: Bernadette raggiunge il bosco, abbandona la bicicletta appoggiata ad un albero e si avvia verso il suo convegno amoroso, les miston la seguono di soppiatto, salvo uno di loro che si attarda, si accosta alla bicicletta di Bernadette e appoggia la guancia al sellino dove poco prima la ragazza stava seduta.
Credo che tutta la mia passione per i film di François e per le gambe delle donne e l’universo femminili nasca da quella visione casuale e notturna.
In seguito lo stesso François certifica il ruolo centrale delle gambe femminili nell’universo, quando fa dire al protagonista del suo film “L’homme qui aimait les femmes” (“L’uomo che amava le donne” – 1977, con uno straordinario Charles Denner ), ammirando ancora una volta, da defunto, le gambe delle sue numerose amanti dalla tomba, dalle radici verso il cielo, intervenute in massa al suo funerale: “ Les jambes de femmes sont des compas qui arpentent le globe terrestre en tous sens lui donnant sa équilibre et son harmonie” (Le gambe delle donne sono compassi che misurano il globo terrestre in tutte le direzioni, dandogli equilibrio e armonia).
Quello del nostro caro François è un genio sottile, fatto di stile raffinato e di parole semplici.
La sua poetica è ben condensata in una sua frase: “tre film al giorno, tre libri alla settimana”, non con l’approccio dello studioso, ma del curioso comprensivo e indulgente.
Da lui ho innanzi tutto imparato (cercando di praticarle) due cose: che bisogna criticare il cinema per amarlo e che le donne si amano senza criticarle.
Questo Maestro del cinema, che abbiamo conosciuto e amato “in presa diretta” e che così tanto ha ci ha rapiti al primo approccio, continua ad affascinare noi, a 40 anni dalla sua morte, nostalgici di un cinema d’autore che forse non tornerà.
Muore il 21 ottobre 1984 a soli 52 anni per un tumore al cervello, dopo avere realizzato 21 film (e 4 cortometraggi) e varie opere di critica sul cinema.
I suoi film più osannati da critica e pubblico, il già citato “Les quatre-cents coups” (1959) – “Jules et Jim” (1962) – “Fahrenheit 451” (1966) – “La nuit américaine” (1973) – “Le dernier métro” (1980).
Ancora oggi, a distanza di 40 anni dalla sua scomparsa, la sua eredità continua a stimolare la settima arte e influire sulle nuove generazioni di cineasti, dimostrando come il suo cinema continui a vivere e sia ancora pieno di energia.
Innumerevoli i suoi premi in festival e della critica (Palma d’oro a Cannes, Oscar, Cesar, David Donatello, Nastro d’argento).
Antonello Nessi