DE LITTERIS ET ARTIBUS – Il cinema ritrovato – La grande guerra, Mario Monicelli (1959)
Il cinema è, fra le forme artistiche cui si rivolge la fantasia e l’intelligenza dell’uomo, la più recente (fine ‘800) altresì denominata ‘settima arte’: basandosi sul movimento riprodotto concreta una forma di narrativa normalmente di approccio più agevole o meno complesso rispetto alla lettura, ma in grado di ‘parlare’ ancor più direttamente allo spettatore (lettore).
Come ogni altra può rivelarsi assolutamente inutile oppure elevarsi a offrire esperienze e sensazioni di valore che, in virtù del mezzo tecnico costituito dal film, possono agevolmente essere riproposte nel tempo.
Con il titolo de “il Circolo del Cinema” pubblichiamo interventi su film che hanno fatto la storia e sono degni di memoria a cura di un appassionato cinèfilo.
La grande guerra, Mario Monicelli (1959)
Siamo nel 1916, il romano Oreste Jacovacci (Alberto Sordi) e il milanese Giovanni Busacca (Vittorio Gassman) si incontrano presso un distretto militare durante la chiamata alle armi; il primo promette con l’inganno di far riformare l’altro in cambio di denaro.
Il risultato di tale accordo sarà che i due protagonisti si incontreranno nuovamente su una tradotta per il fronte e dopo l’ira iniziale di Giovanni, finiscono per simpatizzare e divenire amici.
Seppure di carattere completamente diverso, Jacovacci e Busacca sono uniti dalla mancanza di qualsiasi ideale e dalla volontà di evitare ogni pericolo pur di uscire indenni dalla guerra.
Attraversate numerose peripezie durante l’addestramento, i combattimenti e i rari momenti di congedo, i due commilitoni dopo la disfatta di Caporetto vengono inviati come staffette portaordini, mansione pericolosa, che viene loro affidata perché considerati come i più lavativi.
Una sera, dopo aver svolto la loro missione, i due soldati si coricano nella stalla di un avamposto poco lontano dalla prima linea, ma una repentina avanzata degli austriaci li fa svegliare in territorio nemico; sorpresi a indossare cappotti dell’esercito austro-ungarico nel tentativo di fuga, Jacovacci e Busacca vengono catturati, accusati di spionaggio e minacciati di fucilazione.
Sopraffatti dalla paura ammettono di essere in possesso di informazioni cruciali sul contrattacco italiano sul Piave e, pur di salvarsi, decidono di passarle al nemico.
L’arroganza dell’ufficiale austriaco e una battuta di disprezzo verso gli italiani “Fegato? questi conoscono solo quello alla veneziana con le cipolle” ridà però a Jacovacci e Busacca forza e dignità inducendoli a mantenere il segreto fino alla fucilazione, l’uno insultando spavaldamente il capitano nemico e l’altro che, dopo la fucilazione del compagno, finge di non essere a conoscenza delle informazioni e viene così fucilato subito dopo.
La vicenda si conclude poco tempo dopo, come la storia ci insegna, con la vittoria dell’esercito italiano, ma ignorando il sacrificio dei due soldati italiani ritenuti fuggiaschi, i quali hanno invece optato per la fucilazione pur di non tradire i propri connazionali.
La ricostruzione bellica dell’opera è, da un punto di vista storico, uno dei migliori contributi del cinema italiano allo studio del primo conflitto mondiale.
Nel corso del film, compaiono vari riferimenti puntuali alla cultura dell’Italia della fine dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento.
Uno dei soldati nel plotone dei protagonisti è innamorato di Francesca Bertini diva del cinema muto dell’epoca; poco prima della famosa scena in cui la trincea italiana e quella austriaca si contendono una gallina, Alberto Sordi cita, come improbabile cuoco reggimentale, Pellegrino Artusi il cui manuale di cucina era diffusissimo tra fine Ottocento e inizio Novecento.
Le prime riprese del film, girato nel 1959, furono effettuate in Friuli, vennero scavate delle trincee e ricostruite le retrovie. Dopo alcuni giorni di riprese, il regista Monicelli ricevette una telefonata dal produttore De Laurentis che aveva visto i giornalieri della pellicola, in cui i soldati e gli ufficiali apparivano laceri e sporchi (Monicelli faceva bagnare con delle pompe un largo tratto di terra e poi chiedeva alle comparse di rotolarsi nel fango).
Il produttore riteneva la rappresentazione esagerata e tentò in tutti i modi di dissuadere il regista, sostenendo che non poteva far vedere l’esercito in quelle condizioni e che il pubblico non avrebbe accettato. Ma, dopo varie discussioni, De Laurentiis alla fine diede ragione al regista.
Le scene per la maggior parte vennero girate a Gemona del Friuli e Venzone (UD), nei fossati delle mura di Palmanova. Altre scene vennero girate a Civita di Bagnoregio e nel Lazio, tra i Comuni di Forano e Poggio a Mirteto (Rieti). La scena della fucilazione e quella finale si svolsero presso il Castelluccio dei Monteroni a Ladispoli (Roma).
La grande guerra nel suo contrapporre situazioni divertenti a situazioni drammatiche ha portato a un arricchimento dei contenuti dei film italiani della stagione del neorealismo; la sceneggiatura di Scarpelli e dello stesso Monicelli presenta spesso toni comici; Gassman assomiglia molto a quello dei Soliti ignoti e va anche menzionata la bravura di tutti i caratteristi come il pugile Tiberio Mitri e il cantante Nicola Arigliano.
Antonio Grossi