L’APPROFONDIMENTO – Certificazioni verdi Covid-19
Venerdì 15 ottobre è (stato) il termine scelto dal governo per l’entrata in vigore dell’obbligo (disposto dal decreto legge n. 127 del 21 settembre scorso) a carico di chiunque svolga un’attività lavorativa nel settore privato di possedere ed esibire, a richiesta, la certificazione verde COVID-19 per accedere ai luoghi di lavoro.
Il governo, anche condizionato dalla scelta di doppio binario di componenti politiche governative le quali, in piazza, sostengono posizioni anti vaccino, ha scartato la soluzione di introdurre un obbligo vaccinale generalizzato specifico allo scopo di aumentare al massimo la copertura nella popolazione oltre i dodici anni con l’obiettivo di conseguire l’immunità collettiva (il termine maggiormente in uso, di gregge, suscita suggestioni che rischiano di distrarre dal problema) e ha optato per un accompagnamento, una spinta più morbida nella forma, ma (se correttamente applicata) non meno determinata nella sostanza la quale da ora e fino al termine dell’emergenza (allo stato disposta al 31 dicembre prossimo) contribuisca nei fatti al fine condiviso di prevenire la diffusione dell’infezione e fare uscire il Paese dalla pandemia nella quale è stato accerchiato dall’inizio dell’anno passato.
L’obbligo generale di possedere la certificazione verde ai fini lavorativi , con l’eccezione di quei soggetti che ne siano esentati dall’autorità sanitaria per motivi di salute, è stato quindi pochi giorni or sono rinforzato da un altro decreto legge (n. 139 del 8 ottobre 2021) che ha introdotto l’obbligo, a carico del singolo lavoratore, di comunicare al datore di lavoro se non è in possesso della certificazione con un preavviso tale da rendere possibile una efficace programmazione delle attività aziendali.
La verifica circa la presenza al lavoro con certificazione verde valida è in capo al datore di lavoro, il quale deve organizzare formalmente le metodologie di controllo adottate.
La legge commina sanzioni amministrative pecuniarie non indifferenti (da € 400,00 a € 1.500,00 secondo i casi, raddoppiabili in caso di reiterazione), irrogate da parte del Prefetto, sia al lavoratore sia al datore di lavoro: la condotta illecita del primo si concreta nel suo accesso al luogo di lavoro in violazione dell’obbligo di possedere la certificazione verde, mentre quella del secondo è duplice: mancato controllo sui lavoratori circa il possesso della certificazione e mancata adozione delle misure organizzative di controllo.
Nell’uso comune la certificazione verde COVID-19 cui la legge si riferisce è denominata green pass e talvolta erroneamente fatta corrispondere con la vaccinazione, mentre essa (e quindi il green pass) copre senza distinzione quattro causali: vaccinazione, guarigione, tampone negativo e certificazione rilasciata da Stati esteri.
La verifica del possesso del green pass, quindi, è eseguita unicamente per il tramite dell’applicazione VerificaC19 scansionando il QR Code che restituisce generalità dell’intestatario e tre possibili risposte: verde (valida certificazione per Italia ed Europa), azzurra (valida solo in Italia), rossa (non valida, scaduta, errore).
Un palese, ma allo stato non eliminabile, punto debole è costituito dal tampone che vale solo 72 ore (se molecolare) o 48 ore (se antigenico rapido) da quando è realizzato e, non potendosene conoscere data e ora, può darsi che consenta bensì l’accesso, ma venga poi a scadere nel corso dell’orario di lavoro.
I controlli previsti sono di due tipi, ambedue legittimi, ma con sostanziali diversità di conseguenze in caso risultino negativi (cioè individuino il non possesso del green pass): iniziale, all’accesso oppure posteriore, ad accesso avvenuto.
Nel primo caso, che la legge propone come prioritario, al soggetto è inibita l’entrata, è considerato assente ingiustificato con sospensione della retribuzione fino a quando non presenta una valida certificazione, ma non incorre in sanzioni (né disciplinari aziendali né prefettizie), mentre nel secondo caso il soggetto viene allontanato, è del pari considerato assente ingiustificato con sospensione della retribuzione, ma è soggetto sia al procedimento disciplinare aziendale sia alla sanzione da parte del Prefetto cui devono essere trasmessi gli atti relativi all’avvenuta sua violazione della norma.
Non è quindi, come si vede, di poco conto la scelta del modo con cui attuare le verifiche le quali peraltro sono a loro volta obbligatorie e del pari sanzionate.
La norma consente poi di realizzare le verifiche anche a campione e qui s’innesta un altro elemento potenzialmente scivoloso poiché potrebbe essere contestata una scelta non rispettosa della parità di trattamento, e anzi perfino personale, se il criterio non fosse affidato a un sistema anonimo e automatico come a esempio alla strumentazione informatica ad hoc.
Fino a qui quanto operato ad oggi.
Lo scenario è che, allo stato, circa 3,8 milioni di lavoratori ancora non sono vaccinati e quindi, al netto da coloro che sono stati dichiarati esenti, si prospetta un picco di ricorso ai contingenti tamponi il cui numero è stato stimato in poco meno di 200.000 a settimana e che si presume andrà in crescendo rischiando di mettere in tensione anche le strutture addette.
A parte la spesa e l’onere organizzativo continuato che ricadono sulla scelta del soggetto e che, allo stesso tempo, indirettamente rendono la misura di una tuttora notevole quantità di popolazione non disposta, almeno fino al presente, a vaccinarsi.
Ove non ci sia la volontà politica di disporre l’obbligo vaccinale, una promozione gentile, ma coerente verso l’obiettivo di mantenere circoscritto il rischio sarebbe costituita dalla disposizione de iure condendo che colui il quale per sua incoercibile scelta personale non si vaccina perché considera il COVID-19 una montatura o un falso pericolo, se si ammala si tiene però a proprio carico anche le spese mediche di ricovero e cura.
Per contenere, fra l’altro, questa farsa -ingiuriosa verso i morti e i loro familiari- di pugnaci no vax i quali nemmeno quando si ammalano e vanno in ospedale, a carico alla sanità pagata da tutti, si rendono conto di quello che dicono e seguitano a sproloquiare contro il vaccino con la medesima intelligenza dei grilli che friniscono nell’erba.
(A cura della Redazione)