APOCRIFA – Albori del pensiero (3)
Due aneddoti in merito, fra i numerosi possibili.
Racconta Erodoto, con il suo usuale spirito di osservazione, che Aristagora tiranno di Mileto, messo al potere cittadino dai Persiani, si recò in Grecia per chiedere aiuto a favore della ribellione ionica contro il gran Re e che non convinse Sparta, ma Atene perché era più agevole convincere un’assemblea di numerosi Ateniesi piuttosto che un unico re di Sparta (nella specie Cleomene I, fratello di quel Leonida poi condottiero della forza greca nella battaglia contro Serse alle Termopili al tempo della seconda guerra persiana).
E sempre Erodoto, la fonte principale delle notizie dell’epoca, riferisce che della potente flotta ionica (oltre 350 trireme provenienti da nove città, mentre Efeso e altre non vollero unirsi, contro le 500-600 di Artaferne, ma la superiorità manovriera e bellica degli Ioni era in grado di pareggiare il numero) era a capo Dionisio di Focea il quale, grande navarca, aveva provveduto a un lungo addestramento per renderne più fluida e sicura la comune manovra nel prossimo combattimento che giustamente non sottovalutava.
Ma che la durezza e la severità impiegate ottennero effetto contrario giacché gli equipaggi, oppressi dalla fatica e col morale compromesso (erano infatti andati in guerra persuasi che la vicenda sarebbe durata poco), finirono proprio nell’imminenza dello scontro a rispondere ormai mal volentieri e svogliatamente agli ordini.
Di tal che Dionisio, prima di prendere il mare, radunò gli equipaggi per rivolgere loro una delle usuali allocuzioni nel riferire le quali, in rapporto al contesto, agli eventi e ai suoi attori, lo storico di Alicarnasso (città della Caria e quindi a sua volta originario di una colonia greca) è non solo maestro, ma anche esempio per gli storici che lo seguiranno : La nostra situazione è certamente sul filo di un rasoio, o Ioni, o essere liberi o essere schiavi e per di più schiavi in fuga. Dunque, se voi siete disposti a sopportare disagi, per il momento avrete fatiche ma, una volta superati gli avversari, sarete liberi. Se invece vi comporterete con mollezza e indisciplina, non ho personalmente speranza alcuna che possiate evitare di essere puniti dal Gran Re per la rivolta.
Parole sagge e del tutto profetiche, ma vane poiché all’atto dello scontro le numerose triremi di Samo (e di Lesbo) disertarono, anche per corruzione da parte degli avveduti Persiani, provocando confusione e scompigli a catena nella formazione ionica lanciata all’attacco.
Per rendersene conto è sufficiente considerare quale fosse la modalità di combattimento sul mare (diékplous: letteralmente ‘navigare attraverso’, cioé aprire lo schieramento avversario) principalmente usata dai Greci. Essa consisteva nell’attaccare la linea nemica in colonna e alla massima velocità consentita dalla forza di circa 170 rematori per nave disposti in triplice fila lungo i due lati dello scafo (la vela e l’albero venivano a ammainati prima dello scontro per evitare che gli avversari riuscissero in qualche modo ad agganciarsi): la trireme di testa, ritirati tempestivamente tutti i remi dalla fiancata destinata al contatto, tranciava strisciandovisi contro le file dei remi dell’avversario e la trireme seguente, giunta all’altezza, virava a novanta gradi invertendo il senso della sua remata dal lato del nemico per agevolare la propria rotazione e speronarne la fiancata scoperta con il rostro di prua.
Manovra, come si intuisce, che richiedeva grande addestramento di equipaggi e comandanti e auletés (letteralmente: flautista, gli ufficiali che davano il ritmo di voga alle file dei rematori e quindi una sorta di comandanti di macchina ante litteram) per operare nella coordinazione e sincronia necessarie all’efficacia dell’azione.
E non per nulla Dioniso di Focea si era ingegnato di addestrare per tempo i diversi equipaggi provenienti da diverse città onde riuscire a sopravanzare con l’agilità e la precisione lo schieramento avversario, maggiore nel numero e però inferiore nella manovrabilità a causa, tra l’altro, anche del maggior peso dei navigli dato che i Persiani imbarcavano più fanti da marina (arcieri).
I quali, scoccando nuvole di frecce (ricordiamo la risposta che si tramanda Leonida abbia laconicamente reso alle Termopili quando ai messi persiani che minacciavano tante frecce da oscurare il sole rispose Meglio, combatteremo all’ombra), cercavano di fiaccare da lontano la forza motrice degli assalitori trafiggendone i remanti.
Il dissesto e la confusione causati dalle tante triremi che, tradendo l’alleanza, fuoriuscivano dalle colonne greche in rapida corsa portarono alla sconfitta sul mare della Lega e quindi, subito dopo, alla presa e distruzione della potente Mileto e del suo porto da parte dei Persiani i quali, secondo l’uso, ne deportarono in schiavitù i superstiti.
I Focesi, dal canto loro, si salvarono disimpegnandosi in tempo (pare avessero conferito alla Lega solo tre navi e non è escluso che il fastidio e l’insofferenza delle altre città ioniche maggiormente contribuenti alla formazione navale alleata verso il navarca avesse anche questo motivo) e, senza tornare nella oramai perduta patria, fecero vela (e remi) verso il Mediterraneo occidentale ove il comandante Dionisio, messi gli ormeggi in Sicilia, si diede con le sue ciurme a praticare con successo la pirateria.
LMPD
(Continua. Le precedenti parti dell’articolo sono state pubblicate sui nn. 215 e 216)