APOCRIFA – La nave dei folli
A cavallo fra il XV e il XVI secolo un umanista e giurista alsaziano di Strasburgo di umili origini, Sebastian Brant, prolifico autore di scritti legali ed ecclesiastici non mai assurti a qualche riconoscimento, si cimentò in una satira allegorica di forte critica sociale che fu stampata in tedesco nel 1494 con illustrazioni xilografiche del Dürer ed ebbe un grande successo fino a ispirare, fra altri, Erasmo da Rotterdam.
L’opera –La nave dei folli (Das Narrenschiff), tradotta tre anni dopo in latino (Stultifera navis) e poi in inglese e francese- racconta in forma di satira il viaggio di una nave di matti verso il paradiso dei folli, Narragonia, e fino al Paese della Cuccagna (luogo di delizie gratuite ricorrente nell’immaginario popolare e nella storia letteraria e non solo in Boccaccio) e al tragico naufragio con cui termina la fantastica avventura nel corso della quale sono acutamente descritti vizi e mattane e follie del tempo.
Databile nel medesimo anno è l’omonimo dipinto su tavola (forse da un originale trittico con La morte dell’avaro e L’allegoria dei piaceri) di Hieronymus Bosch, il grande fiammingo maestro nello evocare e descrivere il male immateriale, il principio negativo spirituale che deforma la materia contro natura, il quale rappresenta una folla di laidi personaggi strettamente confinati su una piccola imbarcazione e intenti a sprecare la propria vita nei vizi.
Non interviene, in questa sede, la rilettura moderna del tèma della follia, così come considerata ai tempi di Brand e non solo (giustificazione della critica e licenza di intervenire e di parlare contro i potenti di turno senza subire ritorsioni: e. g. l’irresponsabilità dei giullari e simili) come per esempio quella espressa da Michel Foucault nell’opera Storia della follia nell’età classica (Folie et Déraison. Histoire de la folie à l’âge classique).
Ci si limita all’osservazione del vizio quale molla di comportamenti personali negativi ricordando che ai tempi di Brand le situazioni politiche delle istituzioni e i loro equilibri, chiamiamoli così, ci mettevano poco a cambiare.
E quindi erano considerati al pari di uno dei tanti inconvenienti della vita incerta per definizione: carestie, malattie, pestilenze, invasioni, sommosse, violenze etc.
Fra l’altro proprio Foucault ebbe, nel 1978, a seguire per il Corsera la rivoluzione iraniana che spodestò lo Scià simpatizzando egli per gli studenti dell’opposizione e sottolineando la potenza popolare di una ribellione dotata di una (forte) spiritualità politica ignota nel mondo occidentale.
Erano gli anni in cui Khomeini, esule a Parigi, campeggiava sui giornali in funerei ritratti tutti uguali, come quelli che avrebbero poi di lì a breve tappezzato i muri della neonata Repubblica islamica, e non aveva remora alcuna ad anticipare per filo e per segno come avrebbe operato e cosa avrebbe fatto una volta tornato in patria, mentre gli intellettuali pendevano dalle sue parole anche (forse) per gallico astio vs gli USA che sostenevano il trono da rotocalco del Pavone da loro stessi costituito.
Alla fine della sua corrispondenza, nondimeno, egli metteva in guardia rilevando come la costellazione islamica potesse diventare una gigantesca polveriera, formata da centinaia di milioni di uomini e inoltre, in base all’esperienza iraniana, che Da ieri ogni stato musulmano può essere rivoluzionario dall’interno, a partire dalle sue tradizioni secolari: con il senno di poi, la prima intuizione fondata e la seconda no.
Ma tornando alla disgraziata navicella, stipata di folli capitanati da folli, viene spontaneo, oltre che incredibilmente agevole, spostare l’allegoria sullo scenario geopolitico attuale e riconoscere (volendo) uno per uno i personaggi che irresponsabilmente, ma tenacemente impegnati a dare sfogo e macabra soddisfazione a vizi personali confluenti tali e quali in vizi politici, stanno conducendo (verbo usato in larga e comunque scorretta approssimazione solo per dare l’idea) lo scalcinato e laido barcone della civilizzazione contemporanea.
I gettati a mare dalla quale non c’è ONG che, a fatica o per caso, possa o riesca a raccogliere dai flutti e dalle spiagge: Ossa che in terra e in mar semina morte.
I due principali motori che sostengono gli attuali principi del mondo sono, in verità continuano a essere perché è sufficiente rileggere Tucidide e Tacito per rendersene conto, la superbia e l’avarizia, intesa come brama di possesso, opportunamente accompagnate dall’ira e dall’invidia.
Gli scenari cambiano, ma il vizio no.
In piena guerra fredda S. Kubrick girò un film (Il dottor Stranamore, del 1964), poi giustamente famoso, in cui si mostravano i processi di incompetenza e di follia possibili nei vertici politico-militari di chi deteneva la leadership con una prospettiva di satira esilarante non molto diversa, in realtà, da quella di Brand.
La differenza è che, al tempo, gli ordigni nucleari erano in disponibilità di due unici soggetti i quali, pur nemici, davano quantomeno l’impressione di rendersi conto di una situazione sempre sul ciglio, mentre ora i soggetti sono ben numerosi e in ogni caso, presi uno per uno, più macchiette alle quali non si darebbe volentieri la dirigenza di un’azienda che uomini politici.
Che l’evoluzione si diriga spontaneamente sempre verso il meglio e progredisca è illusione positiva non facile da ripensare.
E tanto meno là ove ci si provi a osservare -per quanto si capisce riesca possibile dai resoconti dei media i quali informano come rendicontando partite di calcio- i tetri ciarlieri monomaniaci rabbiosi padroni del potere: in re facili diffusi, in re inutili verbosi, in re difficili muti (cioé ampiamente diffusi nel facile, prolissi nell’inutile, nel difficile muti: è di Bartolo da Sassoferrato, del XIV secolo).
LMPD