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APOCRIFA – Parola e scrittura

Si diceva che nel regno animale la caratteristica più rilevante atta a distinguere la creatura umana dalle altre fosse, rimanendo ovviamente sul piano naturalistico, la sua capacità di comunicare con i propri simili.

E’ vero come dopo la nota vicenda della Torre di Babele comunicare tra uomini sia, sicuramente, un po’ più complesso a motivo dell’alto numero di idiomi, ma comunque sempre (o quasi) possibile, mentre non c’è stata gran considerazione sulle eventuali relazioni comunicative degli altri esseri viventi fino, appunto, a qualificare la parola come unicum del genere umano.

Ora la percezione è un poco diversa, dopo avere individuato che taluni animali si parlano, ovviamente a modo loro, ed è probabile che sistemi di reciproca comunicazione esistano anche a livello più generale (il fatto di non conoscerli non significa necessariamente che non ci siano).

E anzi di recente è stato individuato che perfino le piante comunicano.

Vogliamo allora provare ad ammettere che il criterio distintivo dell’uomo in rapporto alle bestie (operazione peraltro non sempre agevole) si sia trasferito, o quantomeno esteso, dalla parola alla scrittura?

Siamo in ogni caso sempre nello stesso campo poiché la scrittura è figlia naturale della parola e nient’altro se non un modo o sistema di rappresentare il linguaggio per il tramite di segni grafici.

Lo sviluppo della scrittura è, al pari di quello della parola (dai grugniti e stridori dello Australopithecus africanus al fonema distinto singolo o articolato), processo articolato nel tempo in termini evolutivi che si dipana da precedenti modalità di proto-scrittura, sistemi ideografici come i cuneiformi individuati nella sumerica Uruk quali risalenti al 3400-3000 a. C. e i coevi proto elamitici (rinvenuti inizialmente a Susa, in Persia) e attribuiti al 3100-2900 a. C.

Si tratta di tavolette di argilla, disegnate o incise, rappresentanti numeri a uso amministrativo mentre la rappresentazione grafica della lingua avviene (si parla del bacino mediterraneo) in Egitto coi proto-geroglifici intorno al 3000 a.C.

L’evoluzione della scrittura è stata costante nel corso dei secoli e, sul piano materiale del medium, dalle tavolette d’argilla (come anche pietra e metallo) e dai papiri si è passati alla pergamena, fino al 1300 d. C., e quindi alla carta di origine vegetale rispettivamente con calami, penne e stampa mentre, sul piano intellettuale, il soggetto agente è sempre stato il medesimo: l’intelligenza umana.

Di recente l’evoluzione della tecnologia ha profondamente modificato e innovato lo scenario con l’introduzione, in sostanza, della tastiera per mezzo della quale la formazione della parola non avviene più con articolati movimenti fisici della mano, ma con la semplice e sempre uguale pressione di alcuni pulsanti.

Lasciando per ora ancora a parte le applicazioni caratterizzate dalla voce che il sistema trasforma direttamente in parola scritta e quelle collegate alla intelligenza artificiale onde sembra evidente che l’attuale periodo sarà di transizione, anche rapido, a qualcosa di post similmente a quanto avviene in altri settori.

Circa i portatili e la loro (praticamente) costante digitazione, sia in classe sia a casa, da parte degli studenti di ogni età e in particolare di quelli universitari che, una volta laureati, sono ancora più autonomi e autosufficienti nello scegliere (o non scegliere) come e se coltivare la propria cultura anche professionale, in America è in corso una non banale discussione circa gli effetti di questo monopolio tecnologico e della sempre maggiore dipendenza dai computer per lo studio: prendere appunti, scrivere testi, documenti etc.

Il fenomeno comporta anche considerare un curioso fenomeno assimilabile, per certi aspetti, a una sorta di  analfabetismo di ritorno e costituito dall’essere, il soggetto, non più (quasi) in grado di scrivere se non dietro una tastiera e postulando, oltre a tutto, una situazione strettamente condizionata a qualche forma di energia in assenza della quale a mala pena riuscirebbe a vergare il proprio nome.

Scherzi (ma fino a un certo punto) a parte, già in uno studio del 2014 di Pam Mueller e Danny Oppenheimer emerge che, durante le lezioni, gli studenti digitanti sul portatile scrivevano quasi il doppio delle parole e ben più passaggi del parlato del docente, suggerendo che con quel loro modo di prendere note non tanto stavano appuntandosi l’essenziale come man mano lo capivano quanto piuttosto copiando rapidamente lo svolgersi vocale del docente con il supporto di un mezzo che dava loro questa possibilità.

Da qui sono sorte l’intuizione e l’interrogativo circa la maggior efficacia didattica di una ‘innovazione’ che volga all’antico e cioè della scrittura a mano.

Gli studi rilevano che -ovviamente a parità di condizioni intellettuali e di desiderio culturale- scrivere con penna su carta può migliorare molti aspetti, dal ricordare le sequenze logiche a ordinare una migliore comprensione concettuale di idee complesse.

La scrittura a mano richiede più tempo e questo induce a sintetizzare le idee nel prendere appunti onde appare anche aiutata e migliorata la comprensione concettuale.

In ogni caso è anche quasi istintivo pensare alla ‘creazione’ artistica, letteraria o meno, con l’autore munito di penna o matita davanti a un foglio di carta piuttosto che davanti a uno schermo con tastiera a esclusione, si capisce, di chi deve per contratto consegnare un numero elevato di pagine all’editore in tempi ristretti o un pezzo per il giornale. In questi casi, come in casi consimili, prevalgono la esigenza di rapidità e la comodità della correzione sostitutiva immediata, ma la qualità del risultato è di solito diversa.

In ogni modo il rapporto diretto fra parola, prima, e scrittura, seconda, è indissolubile e anche colui che senza parlare soltanto scrive pensa però la parola quantomeno un attimo prima di vergarla o digitarla.

E anche quando, nell’antichità, avanzate e sperimentate tecniche di memorizzazione consentivano di conservare senza (quantomeno apparente) difficoltà testi di spropositate (per noi) dimensioni, si pensi all’Antico Testamento o all’insegnamento di Socrate, il quale era peraltro anche contrario alla scrittura poiché riteneva che avrebbe distratto i discenti, furono gli scribi a rendere possibile e disponibile la tradizione effettiva ai posteri di quanto contenuto nelle prodigiose, ma singole memorie umane.

Senza il discepolo Platone, Socrate si sarebbe perso progressivamente e così, senza scribi, anche il Maestro che ha cambiato il mondo, Gesù di Nazaret, il quale in tutta la sua missione non scrisse una sola riga.

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