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APOCRIFA – Umanesimo medico santoriano

Il testo dialogico di Mazzotta e Caramella (Bit e battiti, pubblicato nei due precedenti numeri di questa rivista) ha ri-portato l’attenzione su di un lato fondamentale della scienza medica, il quale costituisce fin il presupposto etico ancor prima che medico della cura vs l’essere umano: vale a dire il rapporto umano diretto oltre che professionale del curante con il paziente.

Rapporto questo da sempre e necessariamente sbilanciato, e di molto (il malato si percepisce infatti, e non a torto, ‘nelle mani’ del medico), a favore del primo per causa del suo potere: potere di conoscere e di curare che, nell’immaginario collettivo, comporta la speranza e la conseguente fiducia di guarire o quantomeno di stare meglio.

Nessun potere umano è, nella realtà, percepito superiore a questo potere medicale e ad esso chi incappa nella necessità di sostenere la salute sottomette ogni altra considerazione di propria vita compresa (e anzi a partire da) la ricchezza la quale è generosamente impiegata senza risparmio per acquisire in ausilio e sollievo alla malattia le migliori e più efficaci componenti di cura professionali e tecniche esistenti.

L’uso della ricchezza per la cura della salute è antico almeno come l’insorgere della malattia e il suo drammatico persistere costituisce un discrimine non facilmente accettabile in una società che, a parole, dichiara necessità e obiettivi diversi.

Caramella tra l’altro opportunamente sottolinea che il paziente non va lasciato solo dentro le apparecchiature, ma va accompagnato e sostenuto con gentilezza nell’affrontare l’esperienza estraniante causata dalla tecnologia.

La quale tecnologia è, contemporaneamente, anche la piattaforma diagnostico-operativa per il tramite della quale sono avvenuti e sempre più si realizzano gli stupefacenti progressi medici, quasi inimmaginabili se non a livello di singoli esperti di particolare lungimiranza, che caratterizzano la nostra attuale èra e che, non ultimi, sono i protagonisti responsabili dell’allungamento della vita e della sempre maggiore speranza di vita.

Di questo orientamento, della necessità del rapporto umano diretto con il paziente, fu convinto assertore (dagli anni quaranta in poi)  Marcello Comél, costitutore della nostra Fondazione e anche della Scuola Dermatologica dell’Università di Pisa, fino al punto da renderlo architrave della propria quotidiana prassi clinica sotto la denominazione di umanesimo medico integrale, ispirata a Santorio Santorio, il medico dalmata padre della fisiologia sperimentale, collega di Galileo nell’Università di Padova, che aprì la via alla medicina moderna recidendone le precedenti basi in contaminazioni o radici magiche e pratiche superstiziose.

Comél non solo insegnava l’approccio medico santoriano, così lo chiamava anche per far continuare nel tempo la memoria storica dell’illustre suo quasi concittadino (Santorio era di Capodistria e Comél di Trieste), ma indefesso lo applicava egli medesimo costantemente: uso degli strumenti volti alla raccolta e valutazione dei numeri e delle evidenze in direzione della cura della singola persona.

Le sue visite professionali erano difficilmente programmabili in termini di orario e duravano comunque il tempo utile e necessario a comprendere il malato e a collocarlo nel processo di cura: il professore lo faceva parlare indirizzandolo con domande brevi, lo ascoltava molto, prendeva appunti copiosi e gli comunicava quanto avrebbe (avrebbero insieme) fatto.

Raccomandava l’ascolto più attento e sottolineava che pur se il contadino semi-analfabeta riferiva “non buono”, era comunque lui ad avere ragione e non il curante onde era necessario ri-analizzare il caso ri-partendo dalla diagnosi e ri-esaminando il processo in atto: quasi applicando alla pratica clinica una sorta ante-litteram di ciclo di Deming, lo statunitense che, a sua volta negli anni cinquanta, introdusse nei processi di produzione giapponese il miglioramento continuo della qualità sintetizzato concettualmente e graficamente nell’omonimo ciclo o cerchio PDCA (plan, do, check, act).

Sempre coincidente con l’obiettivo primario di realizzare, incrementando progressivamente la qualità del processo applicabile, la qualità del risultato: la guarigione o il miglioramento per quanto  possibile delle condizioni del malato.

Il dialogo fra Caramella e Mazzotta ha messo il dito sul punto che forse è, a parte pregevoli eccezioni, anche e soprattutto una piaga della sanità, attuale o meno che sia.

Il rapporto con il paziente (per lo più) è debole o non esiste se non nelle dichiarazioni di buona volontà rese nei convegni.

Il radiologo, per rimanere alla fattispecie, non lo vede (quasi) nessuno e, a maggior ragione, è ben difficile esista un suo rapporto diretto con il paziente, tale di nome e di fatto.

Il ‘Rapporto 2023 sul coordinamento della finanza pubblica’ appena pubblicato da parte della Corte dei Conti conferma le persistenti difficoltà, chiamiamole così, di un sistema i cui le spese, senza entrare nel merito delle singole organizzazioni regionali e della loro rispettiva efficienza, continuano a sopravanzare le entrate: (pag. 230) … situazioni di inefficiente utilizzo delle risorse ospedaliere e al contempo una inadeguatezza della rete territoriale gli indicatori legati agli accessi ai Pronto soccorso che, diminuiti durante la pandemia, sono aumentati nuovamente nel 2021, evidenziando come in numerose realtà territoriali gli ospedali siano il principale (e a volte l’unico) punto di riferimento per l’assistenza. Difficoltà che trovano riscontro sia nel ritardo con cui è stato possibile recuperare le liste d’attesa dei ricoveri e della specialistica ambulatoriale accumulate durante la pandemia, sia nelle problematiche relative al personale soprattutto ospedaliero.

L’assistenza territoriale in capo alla medicina di base troppe volte si trasforma in una burocrazia medicale che nemmeno vede in viso il malato, ma solo fornisce a getto continuo prescrizioni per farmaci, esami e visite specialistiche.

Le strutture ospedaliere, sia pubbliche sia private e a parte le liste di attesa che la Corte dei conti valuta come recuperate, ma l’assunto pare ottimistico, funzionano con tempi produttivi necessariamente stretti e in ogni caso scarsamente realistici, anche a fronte di attenzione e disponibilità da parte dei singoli medici, per consentire un rapporto umano diverso da quello prevalentemente tecnico che, nella realtà, non si vorrebbe unicamente trovare.

Onde il prevalere, nella sua sostanza, della macchina sull’uomo -già obiettivamente difficile da contenere e da governare allo stato- appare ancor maggiormente incombente su di uno scenario punteggiato qua e là (per ora) dalle bandierine della ‘intelligenza artificiale’ applicata alla medicina e dal ricorso delle organizzazioni ai c. d. medici a gettone.

 

LMPD

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