APPROFONDIMENTO – La meditazione e il dissolvimento delle tensioni fisiche ed emotive. Le prime intuizioni di Wilhelm Reich
La meditazione è uno spazio in cui ci dedichiamo volontariamente a lasciar andare il nostro fardello abituale dell’aggrapparci ai pensieri per accogliere in un silenzio interiore, che si fa man mano terso, ciò che c’è.
Appoggiamo lievemente la mente sul respiro, che gradatamente diventerà fluido e sottile.
Rialzandoci, sentiamo che qualcosa è cambiato.
Non percorriamo questo spazio “Perché siamo bravi” o “Perché fa bene” o “Per risvegliarci” o “Perché facilita la vita quotidiana” o “Per adempiere a un rito” o “Riposare” o “Diventare migliori”.
Ma perché, dal profondo del nostro cuore silenzioso, diventiamo familiari del prenderci cura del momento presente.
Che la meditazione porti a sanare ferite fisiche ed emotive è ormai appurato dalla scienza. Proviamo a fare un passo indietro: le prime intuizioni di Wilhelm Reich ci aiutano a capire.
Il corpo e la mente: la Gestalt (lett: forma, conformazione)
Negli anni ’50 Fritz Perls diede avvio, con la moglie Laura Posner, all’approccio psicologico della Gestalt fondando il Gestalt Institute of New York. Superò egli la psicoanalisi di Freud e la teoria del carattere di Wilhelm Reich (di cui Perls fu paziente) che però gli fornì un contributo significativo.
Per comprendere un comportamento, infatti, è importante – secondo la Gestalt e Perls- non solo analizzarlo, ma averne una visione di sintesi cercando di percepirlo nell’insieme del contesto globale.
Le prime intuizioni di Wilhelm Reich
Già Reich aveva considerato importante il contributo dell’ambiente nella formazione della persona. E osservare la persona nella sua componente fisica aiutava a capire come essa si era strutturata e perché si comportava così.
L’ambiente esterno, infatti, nel processo di crescita dell’individuo poteva aver creato situazioni e stimoli gravemente dolorosi (o percepiti come tali) che lo avevano condotto alla creazione di una struttura di difesa.
Reich notò che queste strutture difensive, le quali si instaurano a fronte di traumi, paure o sofferenze ripetute, pur provenendo da origini emotive si solidificavano poi nel corpo tramutandosi in rigidità: così abbinò un lavoro sia sul piano fisico (sciogliere quel blocco fisico significava riportare l’energia del paziente a fluire in modo armonico e ciò portava inevitabilmente, secondo l’osservazione di Reich, a sbloccare anche la difesa o paura sottostante) sia sul piano psicologico, per creare una maggior comprensione del processo al fine di agevolarlo.
Il suo contributo risulta centrale ancor oggi per comprendere come si formano le strutture difensive nell’individuo.
Reich era stato allievo di Freud, ma si era staccato dal maestro negli anni ’20 quando questi, per spiegare le resistenze del paziente e quindi l’insuccesso di molti processi terapeutici, aveva ipotizzato l’esistenza di un istinto di morte come responsabile dell’allontanamento del paziente dalla via della guarigione.
Reich, al contrario, non volle arrendersi all’ipotesi dell’istinto di morte e l’osservazione clinica lo condusse in una direzione completamente nuova. Scoprì che le resistenze dei pazienti non erano altro che atteggiamenti difensivi: difese non soltanto psichiche, ma anche strutturate nel corpo sotto forma di tensioni muscolari croniche. Ogni persona, insomma, aveva organizzato una struttura difensiva psico-somatica e per questo, e non per contrastare il successo del processo analitico in nome di un presunto istinto di morte, attuava risposte difensive inconsce strutturate lentamente fin dalla nascita.
Dunque, le attuava in quel rapporto come in altri: era il suo modo psico-fisico di funzionare e aveva un riscontro anche nel corpo.
Per Reich divenne quindi fondamentale far precedere ogni processo analitico da un’analisi anche fisica della struttura del paziente, così da comprendere il suo carattere e la sua – come la definì – armatura caratteriale.
Essa diceva come e dove avrebbe opposto la propria rigidità difensiva al successo della terapia, come di ogni relazione.
Le principali rigidità che Reich individuò sul piano fisico sono per esempio: fronte aggrottata; mandibole serrate e rigide; labbra strette e bocca stretta; spalle curve e respiro bloccato; rigidità al collo, alle braccia o alla colonna vertebrale; rigidità alle anche e al bacino. Anche l’eccessiva lassità o assenza di tono muscolare è ugualmente una forma di rigidità.
Non è tanto importante comprendere cosa determini nel carattere una certa contrattura, ma comprendere che in essa, ormai strutturata nel corpo, agiscono e risiedono le cause del comportamento e che scioglierle (per esempio distendere la fronte, sciogliere le mandibole, articolare e ammorbidire la bocca, aprire le spalle e il petto, imparare a respirare etc) porterà automaticamente effetti positivi nella persona e nelle sue relazioni.
Questa rigidità (che diventa una corazza caratteriale e può formarsi nelle diverse fasi di crescita) può strutturarsi su sette livelli: oculare, orale, cervicale, toracico, diaframmatico, addominale, pelvico.
E’ importante notare come questa corazza sia un sistema che ha raggiunto un suo equilibrio e in quanto tale non si modifica se non interviene un apporto di energia esterna.
(continua)
Elena Greggia, orientalista e ricercatrice
Bibliografia
– Liberati dai veleni della mente, di Elena Greggia, I libri del Casato, 2019.
– Formazione dell’armatura caratteriale dopo la nascita, di Giorgio Salmoni, pubblicazione scientifica, 2001.
– L’Analisi reichiana, di Roberto Maria Sassone, Istituto craniosacrale integrale, 2001.
– Analisi del carattere, di Wilhelm Reich, Sugarco, 1973.