L’APPROFONDIMENTO: a meditazione Anapana. L’ascolto del respiro alla base del naso. Un racconto…
Ci troviamo a Milano. Non è una città particolarmente bella: è un contesto urbano, piuttosto rumoroso. Anche le nostre vite, qui, sono piuttosto rumorose. Stasera però ci troviamo in una zona diversa. Il contesto interno è tranquillo, anche se giungono dei rumori dall’esterno. Mi sono iscritto a un ritiro di meditazione. Voglio trovare pace, calma, beatitudine.
L’insegnante ci fa ascoltare il respiro. Ma come, io volevo trovare calma, pace, beatitudine! Qui non ci sono riti, incensi, canti, mantra. E’ tutto molto normale e noi dobbiamo solo ascoltare il respiro, in una zona molto piccola alla base del naso.
Mah, io non lo sento. Poi mi fa prurito. Anzi, ho il raffreddore. L’insegnante sta lì -ferma e gentile- e ci guida con la sua voce tranquilla. Ad ascoltare il respiro… Mi annoio. Cosa mi preparo per cena quando torno a casa?
Il respiro, il respiro alla base del naso… Per un attimo mi accorgo che respiro. Già, il mio respiro…
Comunque questo corso non fa per me. Forse mi iscriverò a un ritiro di meditazione ai Caraibi, ho bisogno di un contesto più piacevole. Oppure, mi iscrivo a un corso di mandala dove si disegnano splendidi fiori. Mi fa male il ginocchio.
Il respiro, il respiro… E d’un tratto mi accorgo che mentre c’è tutto questo -questo pensare, questo dolore al ginocchio, questi progetti- c’è anche il respiro, alla base del naso. E per un attimo divento tutt’uno col respiro; lo sento, con precisione, in modo fine… il mio respiro… Pensare che è sempre lì… Per un attimo mi sento più intero, più arreso…
La voce dell’insegnante -tranquilla- ci guida. Ma lei non avrà male al ginocchio? Dice che stiamo percorrendo la tecnica di Anapana, che è la più antica e la più fine, anche la più difficile, ma la più adatta all’uomo d’oggi perché è immediata (usa solo il respiro) ed è utile sia per Samadhi (mente tranquilla) che per Vipassana (chiara visione).
Il respiro, il respiro….
Ma da quanto siamo seduti…? E’ suonato il rintocco dell’orologio, ma l’insegnate va avanti. L’avrà sentito? Quand’è che recita la benedizione? Quando l’insegnante recita la benedizione significa che abbiamo finito. Ormai mancherà poco, quindi metto il cuore in pace: mah sì, sto sul respiro.
E quei brevi attimi diventano più lunghi. E lo sento diventare fine, e la mente attenta; più intera; più morbida; più tranquilla. ..lì, alla base del naso…
L’insegnante recita la benedizione: “Ora possiamo riaprire gli occhi”.
D’improvviso sento che non ho più questa urgenza di andar via o di cercare qualcosa di diverso. Sento che il respiro c’è ancora. E’ bello sentire che c’è il mio respiro, in una zona piccola alla base del naso.
Forse l’insegnante aveva ragione: mi ha regalato…il mio respiro.
La sua voce -che rimane un po’ nella mia mente- mi ricorda di tornare al respiro. Forse no, non andrò ai Caraibi a cercare un diverso ritiro o un diverso metodo. Mi metterò sul cuscino -forse col dolore al ginocchio o coi pensieri, con quello che c’è…- ad ascoltare il respiro…. E la mente torna intera.
Samadhi, Vipassana: sono termini pali che ancora mi giungono sconosciuti. Ma sento il profumo di una mente più tranquilla. E forse, anche un assaggio di Vipassana: una visione più chiara.
L’insegnante sorride: “Avete fatto solo qualche manciata di minuti di meditazione”.
Sì, però abbiamo sentito il profumo. Non cercherò nulla di diverso. Siederò sul cuscino a fare amicizia col respiro… E lo sento anche ora… E nel sentirlo, sento qualcosa al centro del cuore.
Avrò fatto solo un piccolo passo, ma sento che è un passo che fa bene.
And so we continue…
Elena Greggia
Orientalista e ricercatrice, Milano