HomeDialogandoNewsletterApprofondimentoL’APPROFONDIMENTO – Pianto e riso

L’APPROFONDIMENTO – Pianto e riso

Se proviamo a immaginare il contesto nel quale si svolgeva la vita dei nostri antenati 2 milioni di anni fa, potremmo chiederci quale fosse allora la colonna sonora dell’umanità.

Due milioni di anni fa sono un’epoca interessante perché in quel momento i membri del genere Homo avevano già consolidato il bipedismo (liberando l’uso delle mani non più necessarie per la deambulazione) e avevano perso gran parte dei peli corporei. La liberazione delle mani aveva reso possibile l’inizio dell’industria litica, con l’arrivo dei rumori legati alla frammentazione delle pietre per ricavarne i primi attrezzi. Le testimonianze archeologiche suggeriscono che i nostri antenati impiegassero un tempo considerevole in questa attività, che necessitava di una prolungata curva di apprendimento ed era gravata da frequenti insuccessi. Quindi una componente essenziale della colonna sonora di 2 milioni di anni fa era il rumore di pietre sbattute tra loro. Ed è probabile che la seconda componente fosse costituita dai rumori provenienti dalle “nursery” del Paleolitico, dove i piccoli dei nostri antenati stavano sviluppando la capacità di farsi sentire in modo forte e chiaro.

Infatti, a quell’epoca il bipedismo aveva già condizionato l’emergere di un parto difficile (per le modifiche morfologiche del bacino) e strutturalmente prematuro seguito da un lunghissimo periodo di mancanza di autonomia della prole. Ad aggravare la situazione era intervenuta la perdita dei peli corporei che aveva reso impossibile per i piccoli di aggrapparsi alla pelliccia delle madri, facendo venir meno una funzione che nei milioni di anni precedenti aveva consentito loro di mantenere uno stretto contatto anche quando le madri erano impegnate in attività diverse dall’accudimento.

La pressione evolutiva però stava selezionando anche una serie di misure correttive, come l’emergere di una maggiore mitezza tra i maschi e di una tendenza verso la monogamia, con minori pericoli per i piccoli che potevano sopravvivere per qualche tempo anche separati dalle madri, grazie alle cure prestate da altri adulti (in particolare dalle femmine anziane). Un’ulteriore strategia evoluzionistica innescata dalla perdita del contatto continuo tra i figli e le loro madri è stata quella di selezionare lo sviluppo di modalità comunicative già presenti – ma in forme molto più rudimentali – in altre specie animali. Così, per attirare l’attenzione delle madri e degli altri adulti, i piccoli del genere Homo perfezionarono la produzione di specifici segnali acustici: il pianto e il riso.

Il pianto compare immediatamente alla nascita come strumento per segnalare situazioni di pericolo e sensazioni spiacevoli ed è particolarmente utile in caso di lontananza della madre, quando non è disponibile la comunicazione silenziosa consistente nell’osservazione reciproca delle facce nell’ambito della diade madre-figlio. Il pianto neonatale e infantile ha la capacità di indurre nell’adulto un’immediata risposta anche perché impiega contemporaneamente più canali sensoriali: lo stimolo, infatti, non è solo uditivo, ma anche visivo (mimica facciale, produzione profusa di lacrime, posture corporee con impegno di tutti e quattro gli arti) e olfattivo (molecole presenti nelle lacrime capaci di stimolare recettori specifici). Si può ipotizzare che i piccoli più bravi a piangere abbiano avuto migliori chance di sopravvivenza e che abbiano quindi potuto riprodursi, mettendo al mondo buoni piangitori. Questo processo si è ripetuto attraverso le generazioni fino ad arrivare ai nostri neonati che sono capaci di piangere con un’efficacia sconosciuta nei cuccioli di altre specie, i quali peraltro ne hanno molto meno bisogno poiché raggiungono precocemente l’autosufficienza.

Se il pianto è un perentorio richiamo da parte di un piccolo che non può stare aggrappato alla pelliccia della madre 24 ore su 24, il riso si è evoluto come una condotta seduttiva dei piccoli per garantirsi il continuo accudimento da parte delle madri e guadagnarsi quello di altri adulti. I neonati devono attendere un anno per iniziare a muovere i primi passi, ma già alla nascita hanno la possibilità di abbozzare un sorriso, che inizialmente è un segnale solo mimico e posturale per poi arricchirsi di vocalizzazioni nei mesi e negli anni successivi. Compare così la risata vera e propria che facilita la fidelizzazione degli adulti coinvolti nella cura dei piccoli, che – con un sapiente dosaggio di pianto e riso – possono mantenere adeguato il livello dei comportamenti accuditivi indispensabili per la loro sopravvivenza.

Grazie al fenomeno della neotenia (conservazione di caratteristiche infantili anche nelle età successive) il riso si mantiene per tutta la vita come uno strumento di uso frequente nella comunicazione intragruppo: sia durante le attività ludiche per segnalare l’assenza di aggressività, sia più in generale per rafforzare i legami tra gli individui e favorire la collaborazione tra di loro. Oggi il riso è un comportamento universale tra gli umani, come è dimostrato dal fatto che quando viaggiamo in paesi lontani, senza conoscere i rudimenti della lingua locale né poter leggere nessun testo perché scritto con alfabeti misteriosi, siamo in grado di riconoscere immediatamente una risata. E la spiccata abilità che abbiamo sviluppato nel distinguere il riso sincero da quello falso – indipendentemente dalla cultura di appartenenza – è una prova convincente dell’universalità e dell’intrinseca efficacia comunicativa del riso.

Anche il pianto persiste nelle età successive della vita, durante le quali assume un ruolo importante per segnalare un bisogno di aiuto e per depotenziare l’aggressività intraspecifica: per quanto riguarda quest’ultimo aspetto è interessante la lettura di un recente articolo che dimostra come la presenza di molecole contenute nelle lacrime delle femmine della nostra specie sia capace di stimolare alcuni recettori olfattivi dei maschi inducendo in loro condotte meno aggressive.

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