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L’APPROFONDIMENTO – Sorriso

Mi è stato fatto notare che nell’Approfondimento 229 sono stati discussi il pianto e il riso, ma che il sorriso è stato menzionato solo di sfuggita. Per rimediare, partirei dall’etimologia: sorridere viene dal latino “subridere” che suggerisce il significato di “accennare un riso” o “ridere leggermente”. Il participio passato del verbo latino è la base per i sostantivi “sorriso” in italiano, “sourire” in francese, “sonrisa” in spagnolo e “sorriso” in portoghese.

 

L’etimologia è in Linguistica l’equivalente dell’analisi evoluzionistica in Biologia. Quest’ultima ci dimostra come le radici del sorriso possono essere rintracciate in comportamenti ancestrali, comuni a molti mammiferi. In seguito, il sorriso è evoluto per assumere un ruolo crescente nella comunicazione sociale, facilitando l’interazione, la cooperazione e la coesione all’interno dei gruppi. In particolare tra i Primati, l’esposizione dei denti, accompagnata da un arretramento delle labbra, rappresenta di solito un segnale di sottomissione (anche se, in situazioni specifiche, può segnalare aggressività). Questo comportamento serve a evitare conflitti all’interno del gruppo e a mantenere la gerarchia sociale. Darwin stesso, ne “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”, notò la somiglianza tra l’espressione di sottomissione delle scimmie e alcune forme di sorriso umano.

 

Va inoltre sottolineato che molti Primati usano un’espressione facciale rilassata durante il gioco, con la bocca leggermente aperta e gli angoli delle labbra sollevati: questa espressione, chiamata “play face” (faccia da gioco), segnala intenzioni non aggressive e invita all’interazione ludica. Nel corso dell’evoluzione degli Ominidi, lo sviluppo dei muscoli facciali ha permesso una maggiore varietà e finezza nelle espressioni, contribuendo alla differenziazione delle varie forme di sorriso e alla loro specializzazione nella comunicazione di diverse emozioni. Se consideriamo l’evoluzione del cervello umano, che è triplicato in volume negli ultimi due milioni di anni, possiamo facilmente immaginare quali e quanti significati abbia potuto assumere un’espressione sfumata come il sorriso.

 

Se ne sono accorti gli artisti (in particolare i pittori e gli scrittori), che nei secoli hanno valorizzato in innumerevoli modi questa elusiva espressione facciale. Nella letteratura italiana il più bel sorriso si trova a mio parere nel primo capitolo dei Promessi Sposi, nel passaggio dove la protagonista è ancora ignara del rinvio dell’atteso matrimonio: “Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre. Le amiche si rubavano la sposa, e le facevan forza perché si lasciasse vedere; e lei s’andava schermendo, con quella modestia un po’ guerriera delle contadine, facendosi scudo alla faccia col gomito, chinandola sul busto, e aggrottando i lunghi e neri sopraccigli, mentre però la bocca s’apriva al sorriso”. Sempre nei Promessi Sposi, nei capitoli successivi, si ha conferma di quanto sia polisemico il sorriso, che viene via via definito: “impaziente”, “forzato”, “ironico e amaro”, “d’intelligenza”, “amorevole”, “sciocco”.

 

Un altro sorriso letterario celebre è quello evocato da De Amicis con la frase “l’infame sorrise”, a significare come Franti sia un concentrato di negatività che funge da contraltare ai valori promossi dal romanzo: l’obbedienza, la disciplina, il rispetto per gli altri. Fa piacere che decenni dopo ci sia stata una riabilitazione del sorriso di Franti grazie Umberto Eco, che preferisce interpretarlo come una maschera che il ragazzo deve indossare per difendersi da un mondo che lo emargina e per nascondere la propria sofferenza. Non esiste quindi il sorriso, ma un’ampia gamma di sorrisi che sono il prodotto una lunghissima evoluzione biologica e una assai più recente evoluzione culturale.

 

Anche in questo ambito, la Medicina si è voluta pronunciare, definendo le caratteristiche tipiche di un sorriso sincero e autentico rispetto a uno falso. Ciò si deve a Duchenne (universalmente noto per la descrizione della distrofia che porta il suo nome), il quale sottolineò come il sorriso sincero non si limita al sollevamento di entrambi gli angoli della bocca, ma coinvolge in modo simmetrico anche gli occhi (che si restringono) e le guance (che si sollevano).

 

È questo il sorriso di Duchenne che viene considerato il paradigma del sorriso “vero”, come quello di Lucia Mondella. La base fisiologica del sorriso di Duchenne è che la contrazione dei muscoli coinvolti è molto difficile da ottenere volontariamente, essendo in larga parte involontaria. Per questo, quando si cerca di “sorridere con gli occhi”, il risultato appare quasi sempre forzato e poco naturale.

Davide Caramella 

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