EDITORIALE – Apparire, sembrare e blaterare
Di fronte alla débâcle (sul piano mondiale) costituita dall’incapacità -in ogni senso e non solo indicativa delle condizioni soggettive dei leader o supposti tali- di contrastare efficacemente l’infezione (epidemia, pandemia, sindemia) da polmonite cinese, alias Covid-19, mette i brividi la politica di infima cucina che vede, da noi, partiti partecipanti al medesimo governo repubblicano accapigliarsi, senza esclusione di colpi, intorno a un’ora di coprifuoco o a riaperture più o meno a rischio nel tentativo di spostare qualche rivolo di votanti nel flusso carsico di una subdola e permanente campagna elettorale.
Il drammatico rischio in cui l’Italia, nel suo piccolo, è immersa, peraltro certificato da centinaia di decessi giornalieri (solo domenica sono scesi), è fotografato dall’ISTAT che si suppone faccia il suo mestiere senza farsi condizionare se non dalle obiettive difficoltà insite nella gestione di questi dati.
Nel Rapporto ISTAT dello scorso 21 aprile, dedicato all’analisi della Prima ondata della pandemia (marzo-aprile 2020), c’è la conferma del pensiero di esperti e scienziati maggiormente avvertiti nel caos comunicativo generalizzato dove in troppi cercavano, e cercano, di distinguersi a ogni costo.
Oggi siamo alla terza ondata, in calando, e già ne è prevista un’altra forse non molto lontana condizionata, da un lato, alla campagna vaccinale che solo in questi giorni, dopo due mesi di lavoro da parte del nuovo Commissario, sembra essere giunta a regime e, dall’altro, alla prevedibile ripresa degli assembramenti con il proprio infausto contributo determinato da un contagio che si diffonde preferibilmente per via aerea.
La sequenza, allo stato, è sempre simile e si ripete in quanto ancora manca un accettabile livello di vaccinazione di gruppo (la più diffusa terminologia -di gregge- è forse maggiormente consona agli orientamenti pratici di numerosi consociati): alla chiusura consegue il contenimento e alla riapertura consegue il riaccendersi e la ripresa dell’infezione.
Si comprende la voglia di tornare alla normalità, un po’ meno l’imprudenza.
Peccato che le produzioni dell’ISTAT richiedano tempi lunghi: rapporti più tempestivi, anche se meno dettagliati, contribuirebbero (forse) a far pensare un po’ di più e a una maggiore responsabilità.
Uscendo dalla piccola Italia, cui non è comunque facile mettere barriere protettive se non dopo che qualche bue già se ne sia andato a spasso (vedi, da ultimo, la variante indiana), la medesima legge del pendolo si osserva, caso per caso nel senso che ciascuna realtà presenta una propria sincronia, anche in altri Paesi UE o dove sia possibile confidare in dati sufficientemente attendibili.
Se poi si passa allo scenario mondiale le strategie politiche con annesse liti di casa nostra (per fortuna ora c’è all’opera un presidente del Consiglio), che qua riempiono giornali, TV e occupano numerosi influenti opinionisti, scivolano subito in fondo alla scala, necessariamente derubricate per quella povertà istituzionale che inevitabilmente le caratterizza considerato il nostro contesto (la recente farsa della sfiducia al ministro Speranza sembra fatta per promuovere la depressione nei consociati e anche la sfiducia, sì certo, ma verso chi riveste funzioni teoricamente importanti).
In ogni caso solo guardando, per esempio, a cosa succede in India sembra di essere, noi, ancora (o già) nel giardino dell’Eden sia pure non proprio forse nel posto migliore e con qualche singhiozzo e qualche morto di troppo.
E fatte le debite proporzioni che sono quelle, più o meno, intercorrenti fra un gigante e un nano (non Golia e Davide, beninteso), si nota come la devianza della politica volta per lo più se non esclusivamente ai propri interessi di bottega piuttosto che al bene comune (opportunamente Draghi ha richiamato, nel suo discorso al Parlamento sul Recovery, l’avvertimento di De Gasperi circa il fatto che l’opera di rinnovamento fallirà, se in tutte le categorie, in tutti i centri non sorgeranno degli uomini disinteressati pronti a faticare e a sacrificarsi per il bene comune), ammorbi e vulneri praticamente allo stesso modo ogni cosa ovunque: cambiano le quantità, si capisce, ma rimane l’unilateralità autoreferenziale diretta alla captazione del consenso quando non alla circonvenzione altrui.
Solo alla fine di gennaio le parole di Modi a Davos (“A dispetto di previsioni catastrofiche secondo le quali saremmo stati travolti da uno tsunami di infezioni, abbiamo salvato molte vite: oggi l’India è il Paese col più basso tasso di mortalità del mondo […] Ci siamo salvati e contribuiremo a salvare l’intera umanità da una immane tragedia […]. Abbiamo lanciato il più vasto programma di vaccinazione del mondo, immunizzando più di 2 milioni e 300mila lavoratori della sanità in 12 giorni. La nostra popolazione è pari al 18 per cento della popolazione mondiale, ma abbiamo dimostrato il nostro impegno verso la comunità globale inviando i vaccini elaborati in India in vari Paesi”) additavano uno scenario sostanzialmente ‘politico’, ma non tenevano però conto, volutamente o per dimenticanza, delle diffuse criticità e delle fragilità di quel grande Paese.
Va bene (per modo di dire) che sui palcoscenici è (quasi) doveroso apparire belli, sicuri, assertivi e vincenti, ma la realtà delle cose, a differenza degli umani, non si fa né ingannare né condizionare dalle parole e l’arroganza e il calcolo tornano per la stessa strada dalla quale proviene.
Solo che domani è un altro giorno, nessuno si ricorda più di ieri e ovviamente, come sempre, ci vanno di mezzo i più deboli e deprivati mentre i grandi pro tempore continuano imperterriti ad apparire, a sembrare e a blaterare (blàtero, as, avi, atum, are).