EDITORIALE – Democrazia della morte
Allo stato, in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) non è stata ancora assunta nessuna decisione a proposito della richiesta avanzata nell’ottobre dello scorso anno dai governi dell’India e del Sud Africa di non concedere né applicare brevetti legati ai farmaci e ai vaccini contro il coronavirus SARS-CoV-2, fino al raggiungimento dell’immunità globale.
L’iniziativa, come noto, sostenuta -sostanzialmente con motivazioni che si rifanno al rispetto di diritti umani fondamentali- sia dalle Nazioni Unite sia da numerosi altri Paesi non ha fino a ora avuto esito positivo per l’opposizione di altri, fra cui quelli EU, a tutela dei diritti economici dell’industria farmaceutica che a prezzo di ingenti investimenti ha individuato i vaccini e li sta ora producendo.
Dal che, tra l’altro, anche la Iniziativa dei cittadini europei (ICE) 2020 NO PROFIT ON PANDEMIC.EU -Diritto alle cure- ora in corso con raccolta di firme iniziata nello scorso novembre 2020, cui anche la nostra rivista aderisce da tempo, che ha invece l’obiettivo di “garantire che i diritti di proprietà intellettuale, compresi i brevetti, non ostacolino l’accessibilità o la disponibilità di qualsiasi futuro vaccino o trattamento contro la COVID-19” e di chiedere quindi formalmente alla Commissione europea di appoggiare a sua volta, re melius perpensa, la sospensione temporanea dei brevetti dei vaccini anti-Covid-19 oltre a partecipare alla realizzazione di effettivi e validi piani vaccinali a livello mondiale.
Non si vuole qui e ora entrare nel merito giuridico-economico correlato al binomio ‘brevetti sì/brevetti no’ né spezzare lance (tanto meno ideologiche: l’argomento si presta anche troppo) pro/contra, ma fare solo qualche considerazione.
La mappa interattiva del sito dedicato della Johns Hopkins University (Baltimora, USA) registra alle 18,22 del 28 novembre 2021 un numero di 261.258.043 casi accertati di Covid-19 a livello mondiale con 5.198.584 morti (in Italia 4.994.891 casi e 133.627 morti) e 7.600.707.246 dosi di vaccino amministrate.
La maggior parte degli esperti valuta peraltro questi dati significativamente sottostimati a motivo, quando va bene e non intervengono motivi politici, della palese inattendibilità dei metodi di tracciamento e registrazione in uso in una vasta pluralità di Paesi e, avendo a esempio esperienza di quanto già accaduto fra le Regioni italiane, si può agevolmente dar loro credito, ma non pare, il problema, circoscritto solo alla realtà più o meno elastica delle cifre.
L’anno scorso, quando erano ancora là da venire sia i vaccini sia i no vax, uno dei pochi argomenti su cui si accendevano meno risse a livello scientifico-mediatico era che con il raggiungimento dell’immunità di gregge, additata al 60-70% e lasciamo perdere per decenza l’indicazione (no vax ante litteram) ipotizzata al tempo dal pragmatico primo ministro britannico, l’infezione sarebbe stata debellata.
L’Italia è oggi al 72,96%, ma ben lontana dalla tranquillità sanitaria e già alla terza ripresa delle somministrazioni che fino a poco fa era solo un’opzione, la Francia, che parla di quinta ondata quando ancora non è finita la quarta, al 69,91%, e l’Austria, ove il governo sta ora intervenendo con decisione fra le proteste del gregge a causa del rapido crescere dell’emergenza, al 66,70%.
Solo per citare qualche caso sotto agli occhi di tutti.
Mentre decine e decine di Paesi, e non tutti -tanto per intenderci- del Terzo o Quarto Mondo come Russia, Filippine, India, Pakistan, Egitto etc, sono ancora al disotto della media mondiale vaccinale (41%) e di altri come Congo, Corea del Sud e Striscia di Gaza etc mancano i dati.
Tanto è vero che oltre ai soli vaccini ora gli scienziati si orientano anche verso la ricerca e l’individuazione di una cura specifica ammesso che il carosello delle varianti, rapide e pericolose quanto a genesi non meno che a contagio, la renda praticabile nel medio termine.
Si potrebbe (dovrebbe) dire che questo piccolo virus stia portando, lui sì nei fatti dato che non parla, ma agisce, nel mondo la concezione di uguaglianza fra ricchi e poveri, fra chi può e chi non può, costantemente applicata nonostante, talora, miagolanti e ipocrite diverse allocuzioni che peraltro non si realizzano mai: una sorta di democrazia della morte che tende a comparire fra i più lontani e poveri e rapidamente viaggiare verso i ricchi disfacendone in un battibaleno le presuntuose certezze scientifiche ed economiche con il suo seguito (regolare) di aumento dell’infezione, crolli di mercati, chiusure di frontiere, proteste, polemiche etc.
Davanti a uno scenario mondiale tragico quanto subdolamente letale per tutti sembrerebbe evidente la necessità esistenziale, prima ancora che politica, di modificare, quantomeno nella parte passibile di primo intervento, le strategie internazionali di riferimento.
I capi delle nazioni sono abituati a ragionare, anche sugli scenari socio-economici, in termini bellici (di alleati e avversari), ma non ancora in termini di guerra nuova e diversa con, da una parte, tutti quanti (compresi i nemici di sempre o di oggi e perfino la zavorra di quanti non capiscono o remano contro) e, dall’altra parte, un nemico unico e multiforme, poco noto (nonostante l’intelligence) e sibillinamente mutante.
Leggete le poche parole del dottor Lessells, di Durban, riportate a pagina 15: ogni tanto qualcuno dice coscientemente la verità.
E questa è una vera nuova quarta guerra mondiale (la terza comunque sempre in corso sebbene non se ne parli perché in secondo piano e con modalità e chiarezza, per quello che valgono, meno tradizionali rispetto al passato) con tutte le conseguenze di una guerra mondiale: morti (diretti e indiretti), inabili, danni socio-economici, distruzioni, rivolgimenti etc.
Davanti al progredire della quale alzare muri sovrani o egoistici a scopo difensivo è, oltre che ridicolo, inutile (come già spiegato sull’ali dell’arte, e quindi con rara capacità di sintesi, anni or sono da E. A. Poe raccontando la vicenda della Maschera della Morte Rossa) e basterebbe considerare l’aspetto solo puramente produttivo-logistico necessario a vaccinare effettivamente in tempo relativamente breve, come il contrasto alla pandemia postulerebbe, l’80/90% della popolazione mondiale per indurre i responsabili delle scelte a smettere di parlare e quantomeno cercare di modificare per fatti concludenti comportamenti e rotte.
Il problema, diverso nelle condizioni operative, non è poi dissimile da quello del governo unitario o condiviso del clima mondiale: anche il riscaldamento indotto dall’Antropocene è un’altra guerra in cui i morti sono, per ora, inferiori o comunque meno visibili e ancor meno contati, ma già ce ne sono unitamente ai danni socio-economici e sempre più ce ne saranno se i responsabili delle scelte, i sempre evocati stakeholders, non arriveranno a rendersi conto che è necessario trovare equilibri di sostanza con tutti, anche con i nemici.
E non sarà un caso se chi può, in quanto molto ricco, cerca di costruirsi per tempo il suo razzo personale onde, al momento opportuno, emigrare in cerca di altro pianeta da rovinare poi come la Terra.
Ma in questo caso i diritti di proprietà intellettuale e i brevetti nessuno glieli toccherà: nel caso gli porteranno via il razzo lasciandolo a piedi.