EDITORIALE – Didattica digitale integrata
Ho la grande fortuna di essere fra i privilegiati con nipotini al seguito e, a motivo della saracinesca scolastica, promosso altresì d’ufficio ad assistente DAD.
Così si continua infatti a denominare familiarmente la ben più concettualmente completa ‘didattica digitale integrata’ ministeriale (già l’acronimo DAD, con quella sua lettera ‘A’ prosaicamente aperta, cede il passo alla più tecnica e precisa anche sotto il profilo semantico DDI) sebbene siano ambedue, beninteso, la stessa identica cosa.
Ma con l’importante aggiunta, al già di per sé aggressivo ‘digitale’, dell’aggettivo integrata il quale, nel burocraticamente corretto, è il pendant del sostenibile affibbiato proditoriamente ai trasporti pubblici: sono, sia la integrata sia il sostenibile, quelle aperture tecnologiche sul futuro che ci vogliono per portare al passo con i tempi un’amministrazione generalmente invecchiata, forse un po’ pigra e non sempre all’altezza.
Ma torniamo a noi.
Il nipotino, che ha appena compiuto sei anni ed è in prima elementare, è più sveglio (né ci vuole molto) del nonno e viaggia sulla tastiera del PC con la cauta velocità di un gatto di tal che si collega da solo, tramite Zoom, alle lezioni che una intelligente organizzazione da parte della scuola ha previsto dividendo la classe in due gruppi in modo che la maestra, peraltro molto brava, tenga il governo (digitale) di meno bambini rispetto al maggior numero che può essere gestito in presenza.
Ma è di tutta evidenza che lo strumento, pur con accettabile disciplina generale dei piccoli allievi, necessariamente sotto sorveglianza domiciliare da parte di un adulto, non sia efficace se non in minima parte sotto il profilo didattico tenuto conto delle caratteristiche degli allievi, che pur ce la mettono tutta, in rapporto all’età: sventolano davanti alla telecamera foglio o quaderno con le parole o il disegno, parlano con il microfono spento, con il mouse interrompono i contatti, alzano la mano per richiamare l’attenzione, dopo avere risposto alla domanda diretta si distraggono e non seguono le altre e la maestra dovrebbe avere tanti occhi quanti Argo.
E in effetti quasi ce li ha, oltre a un contagioso buon umore e continua attenzione per ciascuno dei piccoli di cui non si può che esserle grati perché non è detto rientri, in quella misura, nello stipendio, ma il tempo a disposizione è quello che è.
Nondimeno è, e rimane, l’unico filo rosso ancora disponibile per mantenere un minimo di contatto, necessario oltre che doveroso, fra la scuola e i piccoli allievi altrimenti chiusi in casa a fare passare il tempo in qualche modo.
Senza parlare del fratellino più piccolo, non ancora tre anni, per il quale la materna chiusa non è in grado di organizzare niente, che vorrebbe a tutti i costi partecipare a sua volta in qualche modo alle lezioni del più grande non comprendendo la sua esclusione dal sistema video e dai suoi amici che non vede più da settimane.
Questo per dire che la scuola dei primi anni, asilo, materna ed elementare almeno fino alla seconda o terza, presenta caratteristiche e necessità obiettive del tutto diverse da quelle insite negli anni che poi seguono e che, pertanto, non dovrebbero essere considerate sul medesimo piano, o quasi, quanto a trattamento anti-contagio.
Premesso che la scuola è stata considerata più in prospettiva ideologica e di declaratorie aprioristiche (oltre che di trovate a dir poco sorprendenti come quella dei banchi a rotelle) che sulla base di dati e che i danni inferti a un sistema già bisognoso di cure ben prima della pandemia non sono nemmeno computabili, sulla falsa riga di una attività economica, poiché attengono non tanto a ore perse direttamente o trascorse in DAD, ma all’erosione socio-formativa le cui conseguenze appariranno anche più in seguito, la chiusura del servizio rispetto a un insieme di piccoli non ancora autosufficienti riverbera effetti critici non solo diretti, cioè a loro carico, ma anche a livello sociale e di particolare importanza.
Che non avrebbero dovuto assolutamente essere sottovalutati perché hanno ulteriormente appesantito la crisi di tanti nuclei familiari già duramente provati dalle difficoltà economiche oltre che sociali e comportamentali arrecando altri squilibri cui non si rimedia con il bonus per la bambinaia.
La caduta rovinosa dell’occupazione femminile è nota e in queste condizioni non può che peggiorare.
Che potesse esserci qualche possibile tensione di troppo collegata alle saracinesche scolastiche era stata, per la verità, intuito anche dal Ministero (dell’Istruzione) che già nel novembre scorso, in oggetto Dpcm 3 novembre 2020, aveva inoltrato urbi et orbi (alle proprie strutture periferiche) un’articolata circolare con la quale, fra l’altro, faceva sommessamente intravedere, nella felpata prosa alto-ministeriale, una possibile mitigazione al blocco per il tramite di una sorprendente apertura: Nell’ambito di specifiche, espresse e motivate richieste, attenzione dovrà essere posta agli alunni figli di personale sanitario (medici, infermieri, OSS, OSA…) direttamente impegnato nel contenimento della pandemia in termini di cura e assistenza ai malati e del personale impiegato presso altri servizi pubblici essenziali, in modo che anche per loro possano essere attivate, anche in ragione dell’età anagrafica, tutte le misure finalizzate alla frequenza della scuola in presenza. Dovrà essere garantito comunque il collegamento on line con gli alunni della classe che sono in didattica digitale integrata.
Attuabilità dell’apertura poi espressamente confermata dal medesimo mittente (sempre il Capo del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione) con successiva circolare del 4 marzo 2021, avente in oggetto l’intervenuto Dpcm del 2 marzo scorso, la quale ancorava la garanzia della frequenza scolastica in presenza…dei figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoratori etc. etc. alle disposizioni del Piano Scuola 2020-2021 (‘Documento per la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione’ approvato con DM 26 giugno 2020, n. 39) -salvo ovviamente diverso avviso delle regioni- e precisava in chiusura che in tale senso (vale a dire della attuabilità, ndr) già si è espressa esplicitamente Regione Lombardia, attraverso una specifica FAQ.
Giusto il tempo perché le scuole preparassero i fac-simile delle domande e avvenivano due fatti:
la Regione Lombardia, re melius perpensa, con ordinanza in pari data (4-03) -dopo quattro (4) facciate lastricate di Visto, Considerato, Ritenuto, Valutato, Preso Atto e, da ultimo, perfino un Sentito- sospendeva tutte le didattiche in presenza di ogni ordine salvo la solita necessità (qualora) di uso dei laboratori o di realizzare l’inclusione degli alunni con disabilità e bisogni educativi speciali etc. mentre il Ministero emanava in data 7 marzo alcuni chiarimenti sempre sul medesimo Dpcm e sulla precedente sua circolare.
Con la differenza che a scrivere, questa volta, non è più il Capo del Dipartimento, ma il Capo di Gabinetto il quale, ubi maior minor cessat, in una sintetica e unica paginetta precisa un’altra volta sia la sospensione delle attività didattiche (peraltro già chiara) sia la possibile eccezione costituita dai laboratori e dall’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e bisogni educativi speciali (del pari già chiara), ma non riporta più il riferimento ai figli di personale sanitario etc. etc. onde in ossequio al noto criterio ermeneutico del brocardo latino ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit (dove la legge volle disse, dove non volle tacque) lo espunge silenziosamente.
Contr’ordine, fac-simile di domande superati, problema risolto.
A parte il fatto che c’era comunque un rospo sotto la foglia costituita da quella espressione flautata, ma gravida di minacce ermeneutiche, ‘personale impiegato presso altri servizi pubblici essenziali’ che avrebbe forse chiesto l’intervento della Corte costituzionale, sta di fatto che non ci hanno provato e nemmeno in parte.
E poi parlano di attenzione alle famiglie, di quote rosa, di parità dei diritti…
Confidiamo che il nuovo Ministro se ne accorga.