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EDITORIALE

Con il referendum, strumento utile alla democrazia diretta che -per essere tale- dovrebbe essere usato in modo appropriato, si stanno facendo del male in molti e, così continuando, è prevedibile se ne facciano di più nel prossimo futuro.

A parte la malevolenza, arroganza e scambievoli insulti che sembrano oramai fare parte del normale comportamento fra i soggetti interessati o coinvolti, che poi si lamentano per la disaffezione dei cittadini elettori incolpandosene reciprocamente e fingendo di dimenticare che l’anti-politica è un chiaro segnale di specifica decisione politica, se ne sentono di tutte: dal ministro che sostiene essere stata la risposta circa il mantenimento o meno di undicimila posti di lavoro al presidente di giunta regionale (compreso fra i promotori) che sostiene, non avendo raggiunto il quorum neanche a casa sua, la necessità di dare ora ascolto all’istanza ambientalista (peraltro ben stranamente) espressa da oltre dieci milioni di voti, dal presidente che si compiace non essere verso di lui riuscito il giochetto del 2011 dedicato al predecessore viceversa in tal modo impallinato ai presidenti di Camera e Senato che esaltano la funzione del voto in se stessa (mancherebbe altro…) etc.

In particolare il ping pong riesce bene, si fa per dire, battendo i tasti della democrazia e della demagogia cui oltre ad abbeverarsi in troppi, forse poco sensibili al possibile boomerang in agguato, si può forse anche attribuire la strana composizione, per posizioni parlamentari, della compagnia del ‘no’.

Ma anche in politica vale, finché dura, l’aurea massima dell’accorto Vespasiano anche se, verosimilmente, se avesse potuto scegliere, l’augusto personaggio avrebbe forse preferito essere ricordato nella storia per qualcosa di diverso.

L’ottobre si avvicina e prepariamoci, dunque, ad un wagneriano crescendo di ciàcole con la speranza che rimanga la dovuta attenzione sulla sostanza costituzionale del prossimo referendum il quale, allo stato, ha già due padri: quello del sì e quello del no.

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