EDITORIALE – Anti-politica
La così detta anti-politica (che è poi parte integrante della politica: ambedue intese, almeno in teoria, come impegno/considerazione della cosa pubblica sebbene in modalità diverse) è stata uno dei manifesti che, da ultimo, ha ricevuto maggior visibilità (e consensi) fino alle elezioni dello scorso anno costituendo, nella generale mancanza di chiarezza, una delle leve che ha suggellato l’avanzamento degli attuali governanti.
A detta degli studiosi del ramo, l’antipolitica è nutrita, nelle varie e differenti democrazie, dalle modalità con cui la politica è condotta e, quindi, in particolare dall’inadeguatezza delle sue risposte, o mancate o insufficienti: i suoi fertilizzanti appaiono, in sintesi, essere un cattivo funzionamento della democrazia, un basso indice di sviluppo umano (aspettative di vita, livelli d’istruzione, reddito pro capite) e un alto livello di corruzione.
Donde emerge una realistica spiegazione del perché l’antipolitica abbia (sfortunatamente) nel Paese radici non estemporanee, ma sia carsicamente ricorrente anche se l’uso ultimo fattone dal gatto e la volpe è stato molto efficace rispetto ad esempi precedenti.
Però poi essa è rapidamente scomparsa dai radar semantici lasciando il posto a sovranismo e populismo, concetti almeno all’apparenza non bisognosi di sforzo per essere compresi, per l’appunto, dal popolo.
Premesso che le condizioni per la coltura industriale dell’antipolitica ci sono come, se non più, di prima il fenomeno maggiormente curioso è probabilmente costituito dal fatto che l’antipolitica è svanita dall’interno, per sua rapida e silenziosa trasformazione in quella medesima prassi politica deteriore (cattivo funzionamento della democrazia, in primis) che, a parole, sosteneva di voler innovare: il movimento di riforma si è trasferito, armi e bagagli, all’interno della precedente organizzazione adottandone rattamente consuetudini e comportamenti.
I potenziali commensali hanno, sulla cresta di un successo elettorale non definitivo, ma pur sempre notevole, intravisto la modalità per entrare nella sala da pranzo e hanno operato di conseguenza allo scopo di realizzare il progetto che è di andare a mangiare almeno come gli altri, non di modificare il modo di operare della cucina o la programmazione delle portate.
Così si sono accordati proprio con coloro che, mutatis mutandis, più a loro stessi somigliavano sotto il profilo psicologico, nonostante in campagna elettorale (e anche prima) se ne fossero detti da forca e da galera (il profumo dell’arrosto convince), e ora governano (o non governano: dipende dai punti di vista) con una logica di ordine contrattuale, do ut des, che tiene in piedi in qualche modo l’esecutivo, ma seduta l’Italia (sì, lo sappiamo che con la crescita congiunturale dello 0,2 del pil siamo usciti, allo stato, dalla recessione: ma siamo comunque nel pantano a somiglianza di programmi elettorali che promettevano contemporaneamente sia il più sia il meno).