EDITORIALE – Buona continuazione, Signori Presidenti!
Confidiamo che quella parte della scodinzolante stampa nazionale, sempre esperta a posteriori, già duramente sul pezzo e impegnata a penelopescamente tessere variopinti arazzi sul rinascimento politico del Paese additandolo a esempio europeo in questo biennio pandemico, ridimensioni almeno qualcuna delle proprie temerarie visioni.
Dopo lo spettacolo offerto urbi et orbi dai partiti e dai così denominati grandi elettori (‘elettori’ ovviamente non basta, sebbene non si indovini dove siano, oltre ai grandi, anche i piccoli così come non basta la qualifica di ‘presidente della regione’, ma si deve inventare la carica mediatica di ‘governatore’) nella ri-nomina del Presidente della Repubblica.
E’ vero che l’Italia si è guadagnata maggior rispetto e considerazione in EU, ma a motivo principalmente dell’autorevolezza e del lavoro dei due presidenti in carica, rispettivamente del Consiglio e della Repubblica, mentre il resto della compagnia è rimasta quella di prima e lo ha ampiamente dimostrato confermando di non essersi per nulla arrugginita, nella pausa di riflessione fra il termine del Conte bis a oggi, nei comportamenti e metodi che l’hanno resa celebre nel tempo quanto a competenza, senso di responsabilità, concretezza operativa, spirito di servizio, assenza di parole a vanvera etc.
La politica dei partiti è giunta all’elezione presidenziale come a un appuntamento fortuitamente intervenuto e non come a una scadenza nota e quindi dopo essersi subito e ben volentieri messa in attesa che si esaurissero le manovre del Cavaliere -improbabili sotto il profilo del risultato quanto utili a tutti per continuare il tracheggio (se il presidente della Repubblica è, almeno lui, un elemento -possibilmente- di unificazione nazionale, non era necessario uno statista né un politologo od opinionista alla moda per intuire qualche possibile e non marginale ostacolo)- si è coraggiosamente lanciata nei tradizionali minuetti: stiamo lavorando, candidato ad alto profilo, uomo o donna (ora bisogna dirlo sempre, sia pure per bruciare subito e meglio una possibile candidatura), rosa di nomi, nessun pregiudizio, il Paese chiama, abbiamo i voti etc, etc. Si è visto.
Stampa e TV, presentando ad horas come papabili (le solite fonti attendibili poiché bene informate) soggetti nuovi e diversi oltre ai pettegolezzi e alle tradizionali ripicche reciproche, contribuivano, secondo la propria tradizionale vocazione, a rendere comprensibile il caos ai cittadini comuni come noto esclusi, per definizione, dalle stanze che contano sia di potere sia di conoscenze aggiornate.
E siccome non bastava l’ordinario, ecco apparire lo straordinario avvolto, né poteva essere diverso, dalla anglofono mania ricorrente anche se l’evento storico che ha dato il via al concetto è effettivamente anglosassone e risale al XV secolo: il king maker (e queen maker, per carità) subito ambìto e impersonato dai vari capi in competizione reciproca per intestarsi a ufo il merito con conseguenze devastanti sul proprio contingente pupillo (o pupilla).
La realtà italiana, nel frattempo, non ha risolto le sue molteplici criticità e l’attuale governo, sotto la direzione operativa di un presidente del Consiglio il quale, in virtù anche di una effettiva competenza, gode di superiore credibilità internazionale, sta lavorando con migliore efficacia dei suoi predecessori: ma nella sostanza il debito pubblico è sempre (e ancora) smisurato, i finanziamenti europei sono sì ingenti (200 miliardi), ma devono servire alla ricostruzione reale e quindi impiegati efficacemente in modo produttivo perché saranno anche, in buona parte (122 miliardi), da restituire e saranno altresì auspicabilmente da evitare comportamenti graeco more (qualcuno ricorda l’allora ministro delle finanze ellenico dal corrucciato sguardo, docente in una università USA, pontificare in Europa mentre i suoi sfortunati concittadini sedevano sconsolati davanti alle banche chiuse e ai bancomat vuoti? Lui in Harley Davidson e loro a piedi), la ripresa economica (di coloro che lavorano anche per gli altri) va progressivamente consolidata, il Covid c’è ancora, la scuola è un disastro culturale e sociale, la ricerca e sviluppo … va be’.
Verrebbe da dire che per Mr. Draghi il servizio più importante e urgente potesse rendere all’Italia, anche se il cambio di poltrona sarebbe stato per lui meno pericoloso e impegnativo, era -e rimane- l’esecutivo e la sua presidenza operativa: il viaggio è (appena) iniziato e di strada ce ne è proprio tanta mentre i compagni di ventura sono quelli che sono.
E se così è per l’esecutivo, non diverso si presentava -e si presenta- lo scenario per Mr. Mattarella nonostante gli anni che ci sono, anche se (per sua e nostra fortuna) ben governati. Ha provato a comunicare per tempo il suo pensiero ai partiti, ma sono, questi, entità per definizione o per principio non disponibili ad ascoltare nessuno, nemmeno il Presidente della Repubblica.
E non inganni l’ampiezza della generale ovazione in occasione del secondo giuramento presidenziale poiché nella folla in festa c’era forse anche qualcuno che, in particolare, applaudiva all’avere (ancora una volta) conservato l’usato scranno.
Buona continuazione, nonostante tutto, Signori Presidenti! E grazie.