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EDITORIALE – Giorni di un certo impegno

Sono stati alcuni giorni di un certo impegno anche se non tutti saranno ugualmente registrati nelle future pagine della Storia.

Negli USA è avvenuto il cambio fra 45° e 46° presidente, il più anziano in assoluto della serie che oltre ad aprire con l’esempio uno spiraglio di incoraggiamento alla moltitudine dei vecchi inutili si trova ora nel delicato ruolo di costruttore (non all’italiana) davanti alle rovine lasciategli dal predecessore.

Il quale dopo avere passato quattro anni a dividere e minacciare fino alla farsa (a posteriori, vedendo come è finita: poteva andare molto peggio) della lotteria insurrezionale si è accomiatato fra i colpi di cannone (bum: simbolo forse non da lui percepito delle troppe esagerazioni) con un mellifluo discorso che fa penosamente il paio del precedente, allorché si era protestato uomo d’ordine nascondendo, secondo lui, la mano che aveva appena tirato il sasso contro le finestre di Capitol Hill.

Si può dire che Trump abbia governato per il tramite dell’insulto e del dileggio verso tutti quelli che non lo compiacevano (a parte che poi, in preda ad accessi caligoliani, li licenziava ugualmente) e a questo proposito si segnala che un reporter del The New York Times, con anglosassone acribia, ha compilato con alcuni colleghi la lista degli insulti e degli attacchi verbali di Mr. Trump su Twitter dal 16 giugno 2015, quando dichiarò la propria candidatura, al giorno 8 gennaio 2021 quando il nominato social network, certo oramai l’avvicendamento con Biden e timoroso di future regole, lo zittì definitivamente.

Basta andare sul sito del giornale ed entrare nella sezione The Upshot: sono pagine e pagine (i retweet non sono compresi) di parole che si qualificano da sole, oltre a tutto considerando come il soggetto sia stato, dai servizi di fact checking, accreditato con il numero assolutamente più elevato di menzogne.

We will be back in some way dice ora nel composto saluto ovattato da 73 perdoni presidenziali e da 70 commutazioni di pena rilasciate nell’ultimo giorno (bella compagnia di amici e amici degli amici, niente da dire) e dalla revoca della disposizione che inibiva a coloro che lasciavano attività di governo di svolgere lobby per cinque anni (non si sa mai).

Speriamo di no, Mr. Trump, ma ora paulo maiora canamus tornando al bel Paese.

Si è scenograficamente consumata l’epica disfida parlamentare che ha condotto il nostro governo all’approdo, dopo numerosi colpi di vento, su una spiaggia ove la poca rena si mescola alle molte sabbie mobili.

Ma nel contempo sono state realizzate alcune non marginali innovazioni: anzitutto la formula di governo a maggioranza relativa, combinazione che -perdurante l’emergenza dell’incapacità e dell’arroganza diffusa nei piani alti più ancora dell’emergenza Covid ed economica- potrebbe aprire la strada a future formule di nuova generazione come anche e.g. del governo a minoranza assoluta o qualificata.

Per ora (da noi è sempre ‘per ora’, anche se perdura negli anni) l’amministrazione è rimasta orbata di due ministri non facilmente sostituibili e tutto continua come prima a parte il tempo perso e il piano inclinato di cui nessuno si preoccupa poiché se no dovrebbero mettersi a governare anziché continuare a parlare.

Oggi comunque il Conte due si è dimesso e forse ci perdiamo l’attesa relazione del Guardasigilli sullo stato e riforma della giustizia.

Un’altra scoperta è quella dell’evoluzione creativa che ha condotto alla rapida trasformazione dei (precedentemente sospetti) responsabili prima in costruttori e quindi in forze parlamentari volonterose: chiamando sotto alla sempreverde bandiera dell’alleanza del dialogo che sta mostrando la saldezza del suo ancoraggio e l’ampiezza del suo respiro … il contributo politico di formazioni che si collocano nella più alta tradizione europeista: liberale, popolare, socialista (talvolta vien buona anche l’Europa e non solo per i soldi).

La giustificazione etico-politica dell’ammucchiata non è, come sospettano i soliti noti dediti alla dietrologia, la preoccupazione di tenersi strette le prebende, ma ben più seriamente si fonda sull’insegnamento di A. Einstein, non proprio l’ultimo venuto, per cui la misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario.

Con ciò facendo oltre a tutto lievitare il quoziente intellettuale medio del patrio Parlamento a livelli inarrivabili per gli altri Paesi sempliciotti e privi delle tradizioni culturali di Roma e della Magna Grecia.

La terza, e forse di maggior importanza, è costituita dal significativo avanzamento nella diuturna ricerca della pietra filosofale (quella che, fra l’altro, trasforma in oro i vili metalli: proprietà adeguata alle impellenti necessità delle casse statali e non solo).

Dopo lunghi e approfonditi dibattiti fra i maggiori esperti (che la stampa sempre prosaica liquida sbrigativamente come duelli, litigi e regolamenti di conti) si è pervenuti a individuare che, indipendentemente dal colore delle rispettive orifiamme e dalle intercambiabili casacche, l’onorevole comun denominatore è (e rimane) il misirizzi: non il balocco, ma una militanza: anzitutto rimanere attaccati alla sedia.

D’altra parte non ci avevano i parrucconi per secoli ripetuto il terra terra primum vivere, deinde philosophari che qualcuno, tanto per mettere tranquilla la coscienza e adeguarla all’andazzo corrente, aveva subito corretto in primum vivere, deinde laborare?

 

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