EDITORIALE: Spionaggio
Nei corsi e ricorsi della storia (chiamiamola pure così) emerge, ora, che il passato presidente fosse, come sembra, intercettato (spiato) dagli USA.
Si alza il solito siparietto in chiave diplomatica, o pseudo tale se si preferisce usare il buon senso e considerare il termine ‘diplomatico’ come sinonimo di ipocrisia e menzogna accettata a priori da ambedue le parti, e l’ambasciatore USA è severamente convocato da parte del governo in carica il quale, indipendentemente dall’interesse specifico sul caso concreto che non si fatica ad immaginare, non può rimanere formalmente inerte.
Seguiranno, forse, alcune notizie -in progressiva diminuzione- che confermeranno ufficialmente, in una con le smentite più solenni, quanto già detto dal presidente uscente circa la fiducia e l’importanza strategica nello (indispensabile) fedele alleato italiano.
Fino, s’intende, alla prossima volta che, da parte loro, gli spioni cercheranno di allontanare quanto più possibilmente nel tempo perfezionando la coltre di dissimulazione che copre il loro mestiere, tanto poco (a parole) ammesso o stimato quanto (nei fatti) tenacemente adottato fino alla dipendenza, quasi un amore, dai governi che se lo possono permettere.
Poiché, da che mondo è mondo, non esiste potere costituito o costituendo che non spii o non cerchi, se appena ce la fa (il discrimine non è etico, ma di capacità operativa e di mezzi), a spiare sia i nemici sia, a maggior ragione, gli amici che -come l’esperienza insegna- con un semplice giro di valzer possono diventare i nemici di domani.
L’informazione sul pensiero e proponimento altrui, acquisita nei molteplici canali che la tecnologia –rebus sic stantibus– mette a disposizione, è una delle gambe più solide del seggio (o sgabello) sul quale si assidono i grandi, tiranni o più o meno democraticamente eletti che siano, destinati a regnare sul mondo.
E chi volete che vadano a spiare? Tutti quelli che possono, dall’interno all’esterno. Siamo nell’epoca dell’informazione, è vero, ma il vizietto inizia con Abele e Caino, la differenza fra ieri ed oggi essendo costituita dai mezzi a disposizione, non certo dall’animo.
L’Italia poi, per nostra sfortuna dato che è certo un’etichetta poco piacevole, è stata maestra di valzer e continua a fornire, con più o meno ragione, scampoli di contorsionismi politici non privi di qualche spessore. I Bizantini hanno una loro perspicua progenie nello stivale. Si stupisce, qualcuno, che l’alleato, certo non ingenuo come talvolta si cerca di farlo apparire, si dia da fare?
Andiamo, andiamo: se lo stupore fosse sincero sarebbe proprio tempo di migrare, sebbene non agevole immaginare dove.