EDITORIALE – Sulla questione ucraina
L’Assemblea Generale dell’ONU, organo simile a un Parlamento in cui sono rappresentati tutti i centonovantatre Stati aderenti all’organizzazione, ciascuno portatore di un voto senza distinzione di importanza o grandezza, ha già votato alcune risoluzioni dopo l’invasione della Russia in Ucraina: denuncia contro Mosca per l’aggressione, per la situazione umanitaria originata dal fatto di assalire città senza distinguere gli obiettivi militari, sospensione della Russia dal Consiglio dei diritti umani di Ginevra.
Mentre le prime due hanno goduto di una buona maggioranza (141 e 140 voti a favore), la terza è stata più altalenante e ben si comprende giacché la concezione generale dei diritti umani è, per sfortuna dei popoli in un mondo dove democrazie e libertà sono in minoranza, inversamente proporzionale agli interessi di una pluralità di governi.
La risoluzione è stata infatti adottata con 93 voti contro 24 (e 58 astenuti i cui voti per regolamento non contano): Cina, Siria, Corea del Nord, Iran, Cuba, Kazakistan, Bielorussia, Bolivia, Congo, Algeria, Eritrea, Etiopia, Mali, Nicaragua, Burundi, Centrafrica, Gabon, Lao, Kyrgyzstan, Tajikistan, Uzbekistan, Vietnam e Zimbabwe.
Fra gli astenuti Brasile, Messico, India, Iraq, Giordania, Sudafrica, Egitto, Senegal e Pakistan.
Il Consiglio di Ginevra soffre a sua volta, in sostanza, di tipiche lentezze e gravi inefficacie-inefficienze non diverse da quelle che affliggono l’Organizzazione delle Nazioni Unite di New York che sono attribuibili nella realtà alla mala fede internazionale più o meno reciproca la quale sottomette la capacità di giudizio (ovviamente sempre e solo sugli altri) ai propri specifici disegni.
Onde se ne chiede (anche pelosamente oltre che ipocritamente, che è lo spartito preferibilmente suonato dalle diplomazie) da tempo e da più parti una riforma della quale è arduo valutare o prefigurare un indirizzo di miglioramento tenuto conto dello handicap principale, costituito dall’assenza di una giustizia internazionale, e degli handicap collaterali portati e. g. dal fatto che siedano in Consiglio Paesi come Cina, Cuba, Eritrea, Venezuela, e fino a ieri Russia, che non danno l’impressione di valutare i contenuti dei diritti umani (più agevoli invero da definire sulla carta che da realizzare pur con tutte le carenze dell’umano agire) nell’alveo, quantomeno, di una logica condivisibile da tutti e in particolare dall’Occidente.
Quindi a parte la diffusa zavorra politico-organizzativa indotta da vassalli e satrapi degli intoccabili (la Cina conta su di un largo network a propria copertura di alleati e simpatizzanti che approvano la sua declaratoria per la quale la democrazia deve dipendere dalle condizioni locali: in prospettiva pratica, il concetto di ‘democrazia controllata’ è fatto proprio con entusiasmo da numerosi personaggi in particolare asiatici e africani che vi vedono la chiave di volta per durare, essi, in eterno) la quale, e. g., non consente di andare più in là di manifestare ‘preoccupazione’ a fronte delle violazioni cinesi dei diritti della minoranza (il 45% fra le numerose etnie della regione) musulmana degli Uiguri e di chiedere senza ottenerli osservatori indipendenti nello Xinjiang (così come non ci sono mai stati rilievi a carico degli USA che con Trump hanno anche lasciato l’organizzazione e allo stato, con Biden, sono tornati a partecipare da osservatori senza diritto di voto), è nondimeno positivo che il Consiglio abbia realizzato inchieste e rapporti (raccolta di prove) su genocidi, crimini di guerra e contro l’umanità quantomeno in casi ove veti incrociati e ipocriti opportunismi non hanno potuto, per contingenti motivi (talvolta è interesse del grande sacrificare qualche piccolo), impedirlo: Siria, Myanmar, Sri Lanka.
E pur con ogni riserva sulla dubbia efficacia, almeno nell’immediato, delle azioni internazionali, pure è meglio in ogni modo che questi organismi, ONU e Consiglio dei diritti umani, esistano e operino sebbene a singhiozzo poiché costituiscono almeno un podio di discussione e di confronto il quale, seppure in mala fede, non può poi far sostenere a chi nega anche i fatti che sono sotto agli occhi di tutti che nulla sia accaduto o accada o che non si potesse sapere.
Perché anche i commenti di provenienza dalle parti interessate o coinvolte hanno infatti un certo qual valore in quanto contribuiscono, nel loro piccolo, a fare misurare l’etica e la morale di qualche (ahinoi) pur miserabile protagonista della cronaca se non altro a futura memoria: non si può infatti mai sapere cosa e come scriverà la Storia e perfino il naufrago lancia nella corrente il suo messaggio in bottiglia sperando che, prima o poi, qualcuno lo legga.
Cosa che talvolta anche succede.
Alla notizia della disposta sospensione della Federazione russa il portavoce del presidente si è detto dispiaciuto mentre il pertinente ministro degli esteri, già celebre (nel suo genere, si capisce) per la originalità di talune valutazioni espresse riuscendo a rimanere in piedi e a non sprofondare, la ha dichiarata illegale.
E in effetti alla luce del particolare fattuale (da lui stesso assicurato) che nulla sia avvenuto dal 24 febbraio -o in corso- in Ucraina, la risoluzione sospensiva vs la Russia, per quello che vale in un consesso ove i più sani sono in quarantena, non sarebbe facilmente spiegabile e nemmeno motivata.