EDITORIALE – Trasformismo potenziale
Con la rapidissima genesi del governo bis è tornata di moda anche la discussione sul trasformismo che è, peraltro, una componente storica della politica del nostro Paese.
E, al medesimo tempo, una carta d’identità dall’incerta o ambigua lettura del nostro sistema democratico.
Certamente il trasformismo è sempre potenziale all’interno della libertà, svincolata da mandati da parte degli elettori o doveri verso gli stessi, degli eletti in parlamento per i quali si può prospettare solo un rapporto di fiducia, valido sul piano morale e non giuridico.
Piano morale che peraltro già si affievolisce solo in ragione delle opinabili modalità di scelta che sovente il capo di turno dello schieramento o partito politico compie allo scopo di avere poi a disposizione soggetti sui quali precipuamente contare poiché fedeli a sé.
Sebbene anche la fedeltà, che talvolta può sconfinare nella virtù, sia in fondo un comportamento il cui humus è composto almeno in parte da un’istanza morale (oltre che dal tornaconto), ma se la morale non c’è per scelta strumentale a priori difficilmente la si ritrova nei fatti.
Non sempre, come sembra, la ciambella riesce con il buco nel centro e ben presto il favorito, se può e se ne è capace, consapevole in qualche modo di rappresentare solo se stesso, tende a emanciparsi verso quella condotta che più gli appaia favorevole in rapporto ai propri privati e più assorbenti interessi.
In assenza di una qualche coloritura di comportamento etico rivolto, pur con ogni cautela, alla missione (si perdoni il termine inadeguato) verso un bene di tutti, o almeno della maggioranza, la situazione si prospetta come clientelare, ma non nel senso realizzato fin dall’antico (che era nei fatti un istituto con reciproci vincoli di carattere giuridico, morale ed economico fino al punto da trovarsi, in Roma, già citato nella Legge delle Dodici Tavole) sibbene nella moderna accezione, tendenzialmente negativa, della accentuata personalizzazione dell’azione politica (scontro con il nemico, singole rivalità, ricerca del privato beneficio che legittima il cambio di ogni opinione etc).
Basti porre mente ai titoli della stampa che, esponendo comunque sempre lo scenario peggiore possibile per ragioni di cassa, utilizzano terminologie drammatizzanti all’estremo (sfida, duello, ultimo atto etc) anche quando, in teoria, si potrebbe perfino considerare che le discussioni e i contrasti e perfino le liti hanno certamente cittadinanza in un parlamento democratico.
Ma tant’è.
Un’altra considerazione emerge forse osservando questo (interessato) trasformismo o consociativismo rampante: che sovente i capi o non hanno vera conoscenza di quello che passa per la testa dei loro fidi o hanno doti insospettabili per manipolarne o indirizzarne magicamente il consenso quando loro serve.
Come si spiega, diversamente, che pdemocratici e grillini fossero prima in gran maggioranza reciprocamente in astio e poi, interpellati circa un connubio sempre roboantemente avversato ed escluso, abbiano in gran maggioranza (i grillini con una votazione quasi bulgara) invertito la rotta di 180°?
Mah! Prodigi del profumo proveniente dalle cucine del sempre disprezzato (a parole) palazzo in cui le poltrone, le seggiole, gli sgabelli e i predellini da lasciare sono sempre per definizione tutti quelli degli altri, ma non mai i propri.
E ben si capisce, essendo questo un lavoro (talvolta l’unico a portata di mano) più che un servizio (temporaneo).