L’EDITORIALE – Dall’informazione alla post-informazione: il trionfo del rumore
L’informazione costituisce realtà importante nell’ambito del progresso civile -a fronte del quale essa in modalità anche diverse è pur sempre esistita da che, almeno, esiste la parola- onde i sociologhi, in considerazione della diffusione fino alla pervasività dei suoi mezzi di trasmissione (non comunicazione, che è altro), definiscono la presente come società, o era, dell’informazione.
Termine ampiamente usato fino a livelli inflattivi, denota tuttavia non di rado una certa approssimazione a sbando, come avviene sovente, del suo significato originario il quale, dal latino informare/informatio, vagheggia l’idea di una certa quale consapevolezza e responsabilità nell’atto informativo: come un dare forma o plasmare fino a insegnare e istruire per il tramite di un qualcosa -concetto, idea, dato- atto a trasmettere e conferire conoscenza.
D’altra parte, anche il termine greco corrispondente (morfè, da cui forma in latino) aveva il medesimo significato sì da conferire, nella mitologia antica, a quel figlio del dio Sonno e della dea Notte che era in grado, sotto svariate forme, di entrare nei sogni umani il nome proprio di Morfeo.
Ma il significato usuale del termine -a parte forse talune sue accezioni più prossime all’origine di caratterizzare o informare nel senso (linguisticamente ricercato) di qualcosa (idea, esperienza, ambiente etc) che informa un’opera, un comportamento, un evento- al presente corrisponde al mettere qualcuno al corrente di qualcosa e nella generica amplitudine della funzione si prescinde, quanto meno in prima battuta, dal valutare se si tratti di conoscenza con un minimo di valore oppure di superficialità, inutilità, idiozia: indagine, se del caso, da realizzare con interpretazione ad hoc.
La traiettoria dell’informazione è tendenzialmente unidirezionale, per mezzo di intervento umano o (modernamente) di IA, da una fonte (che può essere anche non umana) a un recettore umano, e il suo risultato dovrebbe tendere, a parte la palustre info spazzatura (pseudo informazione), a qualcosa di nuovo e forse anche di un minimo di interesse (nel gergo giornalistico USA, a esempio, per rendere l’idea si usa il titolo squillante breaking news).
L’informazione tende, in sintesi, a presentarsi come un qualcosa di sostanzialmente oggettivo (‘I fatti separati dalle opinioni’ prometteva a suo tempo un noto settimanale): un fatto fenomenico, un dato e questo suo indirizzo all’oggettività della conoscenza che viene trasmessa addita o conduce a una realtà fattuale che può essere verificata.
Negli USA, dove c’è anche (anche) tradizione di giornalismo effettivamente molto libero, usano talune prassi di fact-checking che, almeno fino ad oggi, non fanno sconti ai potenti, ma li sbugiardano pubblicamente e il bello (o il brutto) è che nella percezione sociale sempre più manichea e polarizzata poco o punto cambia apprendendo la disonestà dei capi.
E non per nulla si discute di correttezza o di veridicità di una informazione e non per nulla insorgono contrasti nel merito perché le informazioni possono essere -soggettivamente, per scelta di chi informa- manipolate: false, ingannatrici o incomplete.
In questi casi l’informazione attraversa un processo soggettivo di gestione in mala fede di fatti e dati allo scopo di conformare/permeare il destinatario alla propria idea (e in tale senso, paradossalmente, recupera l’antico significato di istruire).
Esempio di veridicità è nella informazione data dalla assonnata sentinella che dall’alto della torre dello sgangherato Castello di Id grida nel buio: “E’ mezzanotte e tutto va bene”.
Esempio di manipolazione, tipica nella informazione politica, è:
“E’ mezzanotte e tutto va bene perché su questa torre ci sono io e non quel cretino della sentinella”.
Va da sé che manipolazione e falsità trovano proprio nella informazione politica largo consumo perché consentono con facilità di fare udire voci fuori dal coro in grado di attirare attenzione, in particolare di ordine polemico, e speranza di voti.
Laddove la comunicazione, pur in buona misura confondibile con l’informazione e non di rado con essa confusa sotto il profilo terminologico, è un mettere in comune (etimologicamente: funzione o incarico insieme) e quindi in sostanza rapporto interpersonale.
La comunicazione presenta una forte connotazione in termini di ruolo e di responsabilità sociale in quanto il suo valore si realizza maggiormente quando giunge a destinazione, è capita e suscita risposta con l’apertura di una interlocuzione, anche teorica e non necessariamente solo di consenso, e in un modo o nell’altro contribuisce a forme approssimativamente anche culturali, pur in senso lato.
Ovviamente fra il dire e il fare c’è alquanto spazio e le cose, alla fin fine, non sempre vanno così.
La confusione fra le due è possibile già in buona fede, per via del comune denominatore costituito dalle parole (al presente, e non si sa per quanto tempo ancora, elemento di differenziazione fra uomini e bestie avendo la scienza scoperto che pure le galline sono dotate di intelligenza) e ancora di più in mala fede il cui motore è, come sempre, il lucro (non solo economico) a ogni costo con il propellente tradizionale (menzogna e circonvenzione).
Se due nullità in addizione fanno pur sempre zero, una porcheria più un’altra fanno invece due e la comunicazione spuria serve (solo o in massima parte) a chi la produce.
Il recettore è quello che paga, in ogni senso.
Svetta la comunicazione politica e in altri campi la cosmetica-farmaceutica e la automobilistica in grado di raggiungere obiettivi assurdi per il buonsenso, ma non, all’evidenza, per la percezione sociale.
In politica ricorderete come ci sia stato chi, sconosciuto ai più, si sia fatto pubblicità gratuita proponendo sui mezzi pubblici posti separati fra bianchi e non bianchi (scaltro lui e un po’ meno coloro che abboccarono alla polemica ad usum delphini), ma gli esempi sono molti: è sufficiente scorrere programmi elettorali e commenti post votazioni.
In cosmetica chi tappezza le vetrine delle farmacie di manifesti a grandezza naturale di pin-up specula a man bassa e sapendo di mentire sul complesso d’inferiorità estetica della maggioranza femminile meno esteticamente dotata dalla natura e, in automobilistica, chi presenta sempre nuovi e più ingombranti modelli inquadrandoli su rari palcoscenici di natura incontaminata e solitaria o fantasmagoriche pulite e scintillanti arterie ognora esenti da quella laida marmellata di lamiere che senza requie o rimedio la ammorba specula senza ritegno, sapendo di mentire, su di una spontanea istanza ecologica giacente nel profondo di molti.
E se poi qualcuno, avendone abbastanza sia degli ingorghi stradali sia delle scemenze televisive, si rifugia in un pezzo di bosco ancora rimasto (per ora) da qualche parte, ci pensano giudici e assistenti sociali, sovente distratti su più urgenti tematiche, a riportarlo alla ragione.
Ma poiché al peggio, una volta imboccata la strada in discesa, non c’è limite dalla confusione di informazione e comunicazione si passa con facilità alla (secondo la moderna etichetto-logia) post-informazione o comunicazione: cioè, al niente costituito da parole allo stato gassoso il cui senso (in natura una causa c’è sempre) è localizzato nella preoccupazione esistenziale di apparire in qualche misura e dalla ansiosa necessità di confermare la propria esistenza.
Dall’ottimistico cogito ergo sum (non così diffuso invero come a prima vista può sembrare) all’anonimo e becero (e non solo nei social) blatero ergo compaio e ci sono.
Molti politici sono in prima fila e, a preferenza che nelle sedi istituzionali, tendenzialmente più sobrie del suk, per il servizio delle quali sono scelti e pagati, affidano senza sosta al vento dei post e dei social e di evanescenti interviste propositi e decisioni.
La bufera infernal che mai non resta: e si vede.
E poi anche coloro che di comparire non avrebbero bisogno poiché già sovviene l’istituzione, la carica o l’importanza del ruolo, ma non importa e per epitaffio bramano: ‘parlai, sempre parlai, fortissimamente parlai’.
A proposito, per esempio recente, di esternazioni, un alto ufficiale ha provocato qualche non necessaria fibrillazione diplomatica in un contesto già non disteso di suo e la presidente del Consiglio pro tempore ha osservato circa l’opportunità di misurare le parole.
Se fosse lecita una sommessa osservazione, come aulicamente si diceva un tempo, non sarebbe piuttosto ora di tornare, e in particolare per i tanti investiti di potere e responsabilità, a considerare fra le varie ipotesi operative anche l’opzione del (ingiustamente) dimenticato silenzio?
O, più prosaicamente, l’arte del tacere.
Prima dei numerosi esperti e ciarlieri maestri di comunicazione del nostro secolo ci era già arrivato, ma con solo una manciata di semplici parole, Qohèlet oltre duemilatrecento anni or sono.
LMPD
