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L’EDITORIALE – Evangelica Liberazione

Il padre della Teologia della Liberazione, morto il 22 ottobre scorso nel Convento di San Domenico a Lima, era nato nel 1928 fra i pescatori del Pacifico,  studioso universitario di medicina in Perù e poi di teologia, filosofia e psichiatria in Europa a Lovanio e Lione dove, nel 1959, fu ordinato sacerdote.

Tornato in patria servì come parroco a Lima e insegnante universitario e cappellano dell’Unione nazionale degli studenti cattolici.

Divenne domenicano al 76esimo dei suoi 96 anni di età.

Gustavo Gutiérrez Merino è stato fra i sacerdoti che senza sosta denunciarono l’ingiustizia e la diseguaglianza, da sempre denominatori comuni dei Paesi del Sud America, rifacendosi alla fonte prima del Vangelo e, lui in particolare, delle Beatitudini.

Il suo primo testo del 1971, Teologia della liberazione: prospettive, ebbe diffusione anche (e forse soprattutto) fuori dai territori latini cui era dedicato con l’obiettivo di contrastare l’oppressione e la ingiusta povertà della maggioranza del popolo.

Nella corrente vorticosa aperta da Gutiérrez si prospettarono presto, in ragione del substrato culturale e socio-politico in cui essa prese a scorrere, anche impostazioni dottrinali e ideologiche estremiste che traguardavano processi di tipo marxista o peronista come determinanti per la riuscita della liberazione e, pur anche in reciproco contrasto, additavano quasi una sorta di duplicità evangelica, associando Marx a Gesù, e comportamenti di ribellione con la violenza.

Ciò che non è raro succeda allorché si tratta di giustizia sociale e non solo nell’America Latina: anche il marxismo è (sulla carta) una sorta di religione materialista laica, prima di trasformarsi in dittatura teocratica ove dio è il partito, in persona di chi lo possiede.

Ma a capo della Chiesa c’era chi il comunismo l’aveva vissuto e sperimentato dall’interno e, in ogni caso, sarebbe difficile trovare in Gesù motivazioni per portare odio e morte al prossimo.
Nel 1984 la Congregazione per la Dottrina della Fede guidata dal cardinale Ratzinger, il futuro Benedetto XVI, si oppose al nuovo movimento teologico con esplicita condanna.
Va peraltro riconosciuto che in scenari come quelli dell’America Latina  è facile il verificarsi di devianze ed eccessi perché si opera, né si può fare altrimenti, sui campi minati dell’oppressione e dell’ingiustizia con, a fronte, motivazioni (economiche) destinate a divenire scelte politiche.

E quindi anche la visione di un liberarsi da un Occidente sostenitore e garante di giunte e governi oppressori e liberticidi oltre che esponenti di un contro-radicalismo violento al marxismo, senza peraltro spiragli di apertura su tèmi di giustizia sociale, chiederebbe forse di essere maggiormente compresa nel suo contesto: nella accentuata deriva ideologica diviene consequenziale che le scelte siano estremistiche.

Onde lo scontro e l’interlocuzione con la Chiesa è stato per anni sia duro sia irto di ostacoli anche perché, da ambo le parti, le percezioni del valore delle parole e la loro fattualità non erano omogenee, ma segnate da condizionanti differenze obiettive.

Parlare, da Roma, di “opzione preferenziale per i poveri” (la locuzione simbolo di Gutiérrez) e affermare che essa è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi (Benedetto XVI) è teologicamente preciso, ma rischia anche forse di essere interpretato, a Lima, come dichiarazione bensì corretta, ma ancora lontana dal cosa e come fare (empiricamente) per iniziare a togliere l’oppressione dai poveri che ci sono lì, a Lima, e che non sono, anche per storia, condizioni socio-politiche e prospettive, del tutto paragonabili a quelli di Roma o di altro Paese europeo.

Anche l’individuazione del ‘cristiano povero’ come altro, e non confondibile, rispetto al “proletario marxista” (Woytila) lascia nondimeno intatta la diffusa responsabilità politico-sociale di numerosi governanti cristiani o sedicenti tali (e di quelle istituzioni ecclesiastiche conniventi o inerti) che hanno lasciato nelle rispettive società e popoli vaste condizioni di accesso della offerta rivoluzionaria marxista.

All’esito di una progressiva evoluzione Francesco papa incontrò nel 2013, primo anno sul soglio, il teologo domenicano con il quale celebrò l’Eucarestia a Santa Marta e apparve quindi un contesto che riconosceva i contenuti evangelici della Teologia della Liberazione, amore e impegno per i poveri, ed escludeva le correnti ideologiche estremiste e comuniste oltre che la guerriglia, tra l’altro ben agli antipodi delle Beatitudini cui Gutiérrez si richiamava.

Peraltro Gutiérrez, all’indomani della condanna di Roma, già aveva sottolineato come, nel suo pensiero, la liberazione non fosse solo socio-economica, ma al tempo stesso e in reciproca relazione, anche spirituale in tal modo chiarendo la sua visione di Teologia della Liberazione.
E aveva pubblicato nel 1991, in occasione dei cinquecento anni della scoperta dell’America, un libro su Bartolomé de Las Casas, il domenicano che nel XVI secolo difese indefesso e a viso aperto i diritti dei nativi contro il colonialismo europeo e cui è dedicato il Centro Studi di Lima da lui stesso fondato e diretto.
Ora l’arcivescovo di Lima, che fu allievo e poi collaboratore di Gutiérrez, sarà cardinale per scelta del papa nel prossimo dicembre.

La validità della liberazione -che non è inventata, ma di matrice evangelica- è peraltro pervasiva e travalica i confini: se in Sud America, allo stato, è in particolare contro le ingiustizie e per la salvaguardia della terra, altrove può avere, oltre a questi, anche obiettivi ulteriori ed  effondersi nella coscienza dei singoli perché ciascuno si confronta quotidianamente con idoli da cui deve cercare di togliersi per essere libero.

Un quadro di liberazione del tutto moderno in virtù dello svelamento dell’inganno del potere, che non ha età ed è sempre uguale, può leggersi nelle parole antiche e attuali che Ilario, vescovo di Poitiers (IV secolo), rivolgeva al figlio di Costantino, Costanzo II, potente imperatore deciso a governare non solo i regni, ma anche le anime (e ci riusciva bene) scrivendo: “Combattiamo contro un persecutore insidioso, un nemico che lusinga: non ci flagella la schiena, ma ci accarezza il ventre, non ci confisca i beni per la vita, ma ci arricchisce per la morte, non ci sospinge col carcere verso la libertà, ma ci riempie di incarichi nella sua reggia per la servitù, non spossa i nostri fianchi, ma si impadronisce del cuore, non taglia la testa con la spada, ma uccide l’anima con il denaro, non minaccia di bruciare pubblicamente, ma accende la geenna privatamente. Non combatte per non essere vinto, ma lusinga per dominare, confessa il Cristo per rinnegarlo, favorisce l’unità per impedire la pace, reprime le eresie per sopprimere i cristiani, […] costruisce le chiese per distruggere la fede. Ti porta in giro a parole, con la bocca”.

 

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