L’EDITORIALE – Il Caos della Comunicazione Moderna
Si vive immersi, pur senza attendervi o contro voglia, nel fluire caleidoscopico della comunicazione e nel suo frastuono che, a motivo dell’accavallarsi delle nuove e del rumore di fondo, fa (quasi) perdere l’attenzione sui fatti e induce a non far più (o quasi) neanche mente locale al significato di quanto si legge.
Tre fatti a esempio.
Recentemente un quotidiano di nazionale rilevanza intitolava in prima pagina, un articolo a proposito della tragedia medio-orientale, ‘Battaglia mortale’. Dai tempi di Omero buonanima è noto che le battaglie in genere abbiano tristi conseguenze e forse il titolista, al momento, ricordava quelle navali condotte sul foglio a quadretti che si ingaggiavano, di nascosto, a scuola durante le ore più cupe. O forse dobbiamo ringraziare l’intelligenza artificiale, di cui si nota la presenza nei media a motivo degli svarioni grammaticali e sintattici, con i suoi processi algoritmici che sta progressivamente sostituendo l’intelligenza naturale, organo (chiamiamola così) che come ogni altro se non usato si avvia alla decadenza, ad appassire.
Anche il tilt ferroviario con epicentro l’Urbe ha dato corso a una copiosa comunicazione da manuale.
Beninteso, un chiodo ficcato nel posto giusto (o sbagliato) può combinare disastri non solo in un impianto elettrico. Così come uno spillo o una puntina da disegno.
Accertato in ogni caso che sia stato proprio un chiodo piantato alla sperindio a fermare il Paese, i competenti fulmini ministeriali si sono rattamente scaricati sull’ultima ruota (mini-rotellina) di un lungo convoglio di competenze e responsabilità con la sospensione del contratto d’appalto a un’azienda (privata, come se nelle pubbliche gli errori fossero ignoti), una fra le molteplici della galassia operante nella manutenzione ferroviaria che in questa modalità è notoriamente realizzata.
Senza entrare nel merito, compete ad altri, del come e del perché di un ordinario lavoro di manutenzione notturna evidentemente mal fatto, si attenderebbe però di sapere, e questo è ancora più rilevante, come un essenziale e tanto delicato sistema possa andare in avaria, peraltro azionandosi correttamente l’apposito gruppo di continuità che mantiene l’energia per (sembra) circa due ore e mezzo prima di esaurirsi, senza che partano o arrivino segnali di allarme e senza che i tecnici dell’ente pubblico, proprietario e responsabile del sistema, rilevino criticità.
Confidiamo che a un (possibile, non si può mai sapere) nemico, ove intenda in futuro conquistare la Penisola, non venga mai l’idea galeotta di mandare in avanscoperta, un po’ come Giosuè fece a Gerico, due o tre clandestini armati di chiodi: e mentre il popolo dei viaggiatori, in comprensibile ansia, sta a scrutare naso in aria i silenti cartelloni elettronici e il Parlamento, come d’uso, discute, ecco che i commandos invasori approdano sulle mal protette coste travestiti da donna e, i più bassi di statura fra loro, anche da bambini.
Il terzo fatto, che pare uno sketch, è invece banalissima e inveterata realtà.
Sempre nel perimetro ministeriale, ma dai trasporti passiamo all’economia, il titolare della cattedra è impegnato nel poco agevole (e ancor meno invidiabile) compito di accontentare tutti e non scontentare nessuno: operazione che in codice si chiama legge di Bilancio.
Sicuramente impegnato nel lavoro e forse sopra pensiero gli viene da esternare (horribile dictu o mirabile dictu, a seconda dei punti di vista) la verità, esercizio sempre delicato a livello governativo, e comunica che la legge prossima ventura richiederà i sacrifici di tutti: con il che riuscendo in contemporanea a far saltare su come bisce d’acqua sia avversari sia colleghi e a farsi maledire da entrambi.
Così come da chi paga le tasse (che si sente preso in giro) e da chi non le paga (che teme per il suo futuro).
L’aspetto surreale è fornito dal fatto che il ministro nient’altro ha fatto se non parafrasare (liofilizzandolo) l’art. 53 della Costituzione (tutti sono tenuti a concorrere alle spese in ragione della loro capacità contributiva), ma questo è anche uno dei non pochi principi vergati dai Padri costituenti rimasti accuratamente chiusi nel cassetto.
Un Paese con un debito pubblico da togliere il sonno -e un’evasione fiscale endemica il cui valore (oltre 83 mld stimati dal ministero nel 2021, ultimo dato disponibile) anziché nascosto fosse anche solo parzialmente disponibile per lo Stato- è logico se ne stia distratto su tutto, ma non sul privilegio della tasca e quindi ben sul chi va là ove si vada in argomento.
Anche solo accennare all’articolo 53 è come, absit iniuria verbis, orinare su un nido di calabroni.
Ma terminiamo con un (mezzo) sorriso e, oltre l’oceano, osserviamo una città argentina ai più sconosciuta, Hilario Ascasubi, non lontana dalla costa atlantica.
A motivo, secondo i biologi, della deforestazione di massa delle colline circostanti, la città è stata invasa da moltitudini di pappagalli, i quali villanamente sloggiati dai luoghi aviti non hanno tardato a ri-accasarsi ovunque in cerca di riparo, cibo e acqua.
Il soggiorno degli impermaliti e irati psittacidi non è senza conseguenze per i pacifici cittadini che, a fronte dell’indubbio piacere estetico offerto loro dal cromatismo verde-rosso e giallo dei pennuti, devono però sopportare, oltre all’incessante gracidio, il fatto che, con i loro robusti becchi arcuati, distruggano e mangino tutto quello che trovano, compresi cavi elettrici e scatole di plastica di derivazione delle linee telefoniche, e restituiscano quindi il mal tolto sotto forma di interminabili deiezioni a spruzzo ovunque.
Solo in estate c’è un po’ di requie dato che i pennuti migrano a sud verso le scogliere della Patagonia per la stagione riproduttiva, ma poi tornano, puntuali come sciagure, e si appollaiano a centinaia per ogni dove, lungo i cavi elettrici e sotto ai tetti.
Forse gli uccelli del thriller di Alfred Hitchcock (1963) erano corvi, ma lo stress sembra analogo.
A motivato parere dei biologi è necessario “iniziare a ripristinare i nostri ambienti naturali, ma fino a quando ciò non accadrà, dobbiamo pensare a strategie che ci permettano di vivere insieme nel modo più armonioso possibile nelle nostre città”.
Anche questa è comunicazione è rituale, ovviamente, e secondo l’uso di tutti gli esperti che si rispettino in giro per il mondo parla, nemmeno accenna a quali potrebbero essere i rimedi, alias strategie.