L’EDITORIALE – Il sonno dell’Impero: Pascoli e il Natale nella Roma antica
La nostra redazione fa memoria di Natale presentando ai suoi lettori una poesia non fra le più note di Giovanni Pascoli, tratta dalla raccolta postuma Poesie varie (1912).
Nell’ultimo numero dello scorso anno già aveva pubblicato, sempre del Pascoli e componente della medesima raccolta poetica, la composizione In Oriente che racconta dei pochi pastori che vegliavano sui monti di Giuda e del loro incontro con un figlio dell’uomo che giacea nel fieno del presepe, e sua madre, una straniera.
Questo anno pubblica il pendant, per così dire: In Occidente, vale a dire a Roma ove Nelle celle de’ templi, sui lor troni, taceano i numi, soli ed immortali.
Sono due poesie che trattano il medesimo tèma contemplandolo dalla prospettiva di dove è sorto il mistero e di dove esso si è radicato: il deserto intorno a Betlehem e la città feroce, capitale di un impero (né il primo né l’ultimo) su cui non tramontava il sole: a Oriente, fra le dune pietrose della Giudea alcuni pochi vegliavano nel silenzio del freddo notturno e a Occidente, ammassati nell’Urbe conquistatrice, molti di più giacevano nel torpore della morfeica ipnosi al termine dei Saturnali (23 dicembre).
A parte il gladiatore di nome Geta (così come il fratello minore che Caracalla farà uccidere due secoli dopo), abbandonato sotto alla luna davanti alla inutile dea, morente, ma in attesa.
L’arte sale talvolta fino agli estremi limiti del mistero e riesce a interpretarlo con semplicità accarezzandolo in parole che la poesia alza in volo sebbene siano poi le medesime le quali in prosa, anche filosofica e teologica, difficilmente si staccano da terra.
Quanto a Giovanni Pascoli, la nostra scuola con superficiale ottusità lo presenta in genere lontano da Dio, ma sbaglia, forse per motivi ideologici, a banalizzare un pensiero molto più complesso e profondo che non solo domanda sconsolato (come nella pur bellissima X Agosto), ma anche risponde (Angelus, Viatico, La buona novella) sulla falsariga di un mistero entrato nella storia e da lui lungamente meditato e accolto.
In pittura c’è un’opera del Mantegna che può illustrare con un solo sguardo la fede del Pascoli ed è la piccola e splendida tempera su tela (Madonna col Bambino dormiente, Museo di Stato, Berlino) che ritrae la giovane madre in tenero abbraccio con il piccolo, tenuto in verticale sul seno con ambedue le mani a protezione e avvolto dal suo stesso mantello, il capo dolcemente appoggiato alla guancia. Lei è mesta e con gli occhi verso qualcosa lontano sembra pensare al sonno del bambino come premonitore di una morte che non tarderà a presentarsi.
Un ritratto di Madre e Bambino reale svettante su innumerevoli altre interpretazioni cui la ricerca iconografica e la maestria degli artisti velano la prospettiva umana (e teologica) dei soggetti estraniandoli però dalla vita.
In Occidente
Grande, lungo le molte acque al sussurro
del fiume eterno, sopra i sette monti,
bianca di marmo in mezzo al cielo azzurro,Roma dormiva. Agli archi quadrifronti
battea la luna; e il Tevere sonoro
fiorìa di spuma percotendo ai ponti.Alto fulgeva col suo tetto d’oro
il Capitolio: ma la notte mesta
adombrava la via sacra del Foro.Nell’ombra, un lume; il fuoco era di Vesta,
che tralucea. Nel tempio le Vestali
dormian rovvolte nella lor pretesta.Era la notte dopo i Saturnali.
Nelle celle de’ templi, sui lor troni,
taceano i numi, soli ed immortali.Intorno alla Dea Madre i suoi leoni
giacean nel sonno. Gli ebbri Coribanti
dormian con nell’orecchio ululi e tuoni.Rosso di sangue uno giaceva avanti
la Dea. Dischiuso il tempio era di Giano.
Esso attendeva, coi serrami infranti,
l’aquile che predavano lontano.
Roma dormiva, ebbra di sangue. I ludi
eran finiti. In sogno le matrone
ora vedean gladïatori ignudi.Ne’ triclini ai dormenti le corone
eran cadute, e s’imbevean le rose
nel sangue che fluì dal mirmillone.Dormivan su le umane ossa già róse,
le belve in fondo degli anfiteatri;
e gli schiavi tornati erano cose.Dopo la breve libertà, negli atrï
giacean gli ostiari alla catena, quali
cani la cui leggera anima latri.Era la notte dopo i Saturnali;
ed ogni schiavo dalla tarda sera
dormiva, udendo ventilar grandi ali,e gracidare. Erano cigni a schiera
sul patrio fiume… No: su l’Esquilino
erano corvi in una nube nera…Ei tesseva e stesseva il suo destino:
vedea sua madre: poi sentia la voce
del banditore: apriva al suo bambino
le braccia, e le sentia fitte alla croce.
Roma dormiva. Uno vegliava, un Geta
gladïatore. Egli era nuovo, appena
giunto: il suo piede, bianco era di creta.L’avean, col raffio, tratto dall’arena
del circo; e nello spolïario immondo
alcun nel collo gli aprì poi la vena.Rantolava; il silenzio era profondo:
il cader lento d’una goccia rossa
solo restava del fragor del mondo.Ma d’uomini gremita era la fossa
in cui giaceva. All’occhio suo, tra un velo,
parca scoprirne e ricoprirne l’ossa.Ed era solo, e l’uomo che col gelo
lo pungea di sua cute, più lontano
gli era del più lontano astro del cielo:più della terra sua, più del suo piano
lunghesso l’Istro, e de’ suoi bovi ch’ora
sdraiati ruminavano pian piano,e de’ suoi figli ch’attendean l’aurora,
piccoli nella lor nomade cuna,
e del suo plaustro, ch’era sua dimora,
là fermo e nero al lume della luna.
E venne bianco nella notte azzurra
un angelo dal Cielo di Giudea,
a nunzïar la pace: e la Suburranon l’udiva: e nel tempio alto di Rhea
bandì la pace; e non alzò la testa
quell’uomo rosso ai piedi della Dea;e vide un fuoco, e disse Pace; e Vesta
ardeva, e le Vestali al focolare
sedeano avvolte nella lor pretesta;e vide un tempio aperto, e dal sogliare
mormorò, Pace: e non l’udì che il vento
che uscì gemendo e portò guerra al mare.E l’angelo passò candido e lento
per i taciti trivi, e dicea, Pace
sopra la terra!… Udì forse un lamento…Vegliava, il Geta… Entrò l’angelo: Pace
disse. E nella infinita urbe de’ forti
sol quegli intese. E chiuse gli occhi in pace.Sol esso udì; ma lo ridisse ai morti,
e i morti ai morti, e le tombe alle tombe
e non sapeano i sette colli assorti,
ciò che voi sapevate, o catacombe.
Giovanni Pascoli
Poesie varie di Giovanni Pascoli, raccolte da Maria (Piccolo vangelo)
(Seconda edizione riordinata ed aumentata. Bologna, Zanichelli, 1914)
Fonte: Internet Archive