L’EDITORIALE – Profumo di elezioni
Si sente già odore, non sempre grato, di elezioni e sono quindi in corso le più opportune (così si ritiene) manovre propedeutiche.
E prendendo a prestito da un grande: i cavalli normanni alle lor poste frangean la biada con rumor di croste.
Così, a esempio, ecco che la maggioranza politica da tempo al governo della regione lombarda e ora con il mandato in scadenza ha organizzato alla fine di novembre un evento in prospettiva strategica (non disgiunta da considerazioni elettorali) atto a delineare insieme ai suoi protagonisti le traiettorie di sviluppo della Lombardia nei prossimi anni: Lombardia 2030: progetti per una regione sempre più inclusiva e connessa.
Confindustria Lombardia, sull’assunto (vero) che la Lombardia sia la regione più competitiva del nostro Paese e anche tra le regioni in Europa, spiega in proposito la sua vision per il 2030 che (dal sito) non è una previsione, ma la propria visione di dove vuole arrivare, di quale Lombardia vogliamo avere (sic): una regione ancora più sviluppata e interconnessa, con un’alta qualità della vita, con capitale umano qualificato e integrazione di tutte le sue componenti sociali in un ambiente sostenibile e sicuro.
E il presidente di Confindustria, già precedentemente a capo di Assolombarda, ha sottolineato (vero) come la regione rappresenti il 22% dell’economia nazionale mentre l’ospite principale oltre che organizzatore della giornata, il presidente della Giunta ricandidato per un secondo mandato, annunciando l’istituzione di un tavolo permanente per progettare e realizzare il futuro della Lombardia, forse il mastodontico apparato regionale non basta più, ha sintetizzato che quella del 2030 sarà una Lombardia connessa, sostenibile, innovativa e sarà soprattutto una Lombardia inclusiva. “Questo è il punto che viene ricordato di meno ma credo che sia il più importante” ha detto “Dobbiamo fare in modo che nessuno più rimanga indietro” (da articolo di stampa).
Va tutto bene, naturalmente, e ciascuno è libero, mancherebbe altro, di dire quello che vuole (come anche chi ascolta di farsi la sua opinione) e anche, più in particolare, di non dire: ma il non dire pesa talvolta perfino un po’ di più del detto.
A fronte di disegni e schizzi circa visioni e scenari parametrati al 2030 e dal 2030 in poi (quando forse qualcuno potrebbe non esserci neanche più), disegni e schizzi peraltro del tutto legittimi e, anzi, auspicabili in un Paese dove generalmente si programma poco, sarebbe istruttivo conoscere per esempio come mai qualcuno degli importanti obiettivi additati non sia già stato, nel frattempo e almeno in parte quantomeno perseguito se non del tutto raggiunto.
O nel caso quali siano, o siano stati, difficoltà e ostacoli perché diversamente si rimane nel campo della fantasia o dei placebo a motivo dei quali, come si sa, di strada se ne fa poca a parte l’auto incensazione.
Il governo lombardo, infatti, è stato continuativamente di centro destra (e secondo Fontana le prossime elezioni regionali non faranno che confermare il grande vento in poppa al medesimo centrodestra) fin dalla metà degli anni ’90 e, più in particolare, proprio della Lega dal marzo 2013 per cui non si può nemmeno incolpare i precedenti attori, secondo uso e tradizione, di avere lasciato un disastro per incompetenza e incapacità aggravate dall’ideologia se non dalla malafede.
Quindi?
A proposito del sostenibile e dell’inclusivo si deve continuare ad attendere un limite temporale là da venire?
E, in particolare, attendere anche per il ‘chi’, il ‘come’ (che comprende anche le risorse necessarie) e il ‘quando’ i quali non sono poi aspetti del tutto secondari o banali sebbene di regola dimenticati?
Sostenibile e inclusivo: questi due guizzanti profili, talvolta (e nell’entusiasmo) usati con qualche contorsione grammaticale o licenza poetica, che hanno scalato la classifica delle parole di moda mettendo in ombra perfino ambiente, ecologia, transizione, cervelli in fuga, dinamiche, partecipazione, futuro etc!
Audiatur et altera pars, dicevano saggiamente gli antichi e la locuzione, tradotta in milanese, suona: si senta anche l’altra campana.
Che non è, nella specie, il dem Majorino, candidato di centro sinistra il quale, ovviamente in posizione critica e soggettivamente nel medesimo conflitto d’interessi benché di segno opposto, ha subito sfidato Fontana a un pubblico confronto su sanità e trasporti, ma qualcuno di maggiormente neutro e presumibilmente fuori dalla mischia politica.
Essendo la Lombardia milanocentrica, ci si può forse accontentare di qualche considerazione con oggetto la grande Milano che di norma emerge come locomotiva trainante nelle stime ricognitive e celebrative della Regione tutta.
Vale a dire cosa dicono di Milano i lavoratori e professionisti stranieri che vi soggiornano non contingentemente per turismo, ma un po’ più stabilmente per lavoro (gli expat, gli espatriati) e ai quali di Fontana, Majorino e C. interessa comprensibilmente meno che agli elettori lombardi.
InterNations (www.internations.org), a esempio, dal 2017 pubblica una ricerca annuale che raccoglie le valutazioni e i giudizi degli espatriati per lavoro indicanti, a livello mondiale, i migliori Paesi e le cinquanta migliori o peggiori città.
Nel Rapporto 2022 sono confluite le segnalazioni di quasi dodicimila soggetti rappresentanti centosettantasette nazionalità e viventi in centottantuno posti diversi che, per quanto possa valere una ricerca del genere e con tutta la prudente attenzione da riservare come sempre alle statistiche, collocano Milano al n. 44 (dopo Roma che sta al n.41) su una scala di 50 grandi città.
E con particolare riferimento proprio al lavoro, alle difficoltà di reperirlo, alle scarse prospettive e opportunità di carriera, all’esiguità dei compensi …
Ma confrontarsi e non solo davanti allo specchio può essere utile al miglioramento per tutti.