L’EDITORIALE – Ricordo a colori
Un nostro amico lettore ci ha scritto, a proposito dello scorso editoriale sul 8 settembre.
“Io ho un ricordo a colori di quel giorno.
Vivevo in una casa popolare con 110 famiglie distribuite su cinque scale.
Su un lato del grande cortile erano accumulate le macerie causate dagli oltre 500 Lancaster, i bombardieri inglesi, che nella notte del 13 nell’agosto 1943 avevano devastato Milano. Il più pesante bombardamento di tutta la guerra su una città italiana.
Poco meno di un mese dopo, la sera dell’ 8 settembre su quelle macerie si è fatto festa e a me è rimasto in mente un particolare.
Gli abitanti di quel piccolo mondo, che fino al giorno prima vestivano di nero, sventolavano o portavano al collo fazzoletti di colore rosso. Il nero era scomparso del tutto.
In un amen l’arcobaleno politico aveva subito una trasformazione istantanea.
E’ da comprendere: in quei tempi costava fatica avere il coraggio di manifestare le proprie idee.
Essere contro voleva dire perdere il lavoro e non beneficiare delle tessere delle razioni alimentari.
Considerazioni comprensibili oggi, ma non da un bambino di sette anni colpito da quel particolare cromatico”.
Questa bellissima testimonianza sottolinea come il valore del ricordo sia incommensurabile e, per stare in argomento, come il motivo principale per cui la storia maestra di vita (Historia magistra vitae, secondo Cicerone nel De Oratore) non insegni, viceversa, mai niente a nessuno sia nel fatto che gli uomini tendono ben più volentieri a non ricordare o, che è praticamente lo stesso, a ricordare sì, forse, ma a modo loro e cioè dimenticando quanto ritengono meglio tralasciare.
Esercizio di lunghissima data e non certo solo di oggi che, peraltro, è sempre riuscito benissimo.
E così un regime ultraventennale liberticida, che prese il potere (e lo mantenne) con la violenza e che si macchiò di crimini indelebili come le leggi e persecuzioni razziali (lasciando perdere -si fa per dire- l’aggressione alla Francia in agonia, l’aggressione alla Grecia, una guerra vergognosa a fianco di uno squilibrato criminale, il sacrificio di un esercito non equipaggiato e di una popolazione costretta fino al tragico epilogo i cui danni perdurano) trova ancora chi apertamente lo esalta e chi è disposto a portare voti.
Ma questo è anche, al contempo, la forza e la debolezza della democrazia poiché quando il rapporto si squilibra oltre a una certa misura (vogliamo intendere come punto di non ritorno o tipping point?) essa, la democrazia, si esclude da sola ed esce puntualmente di scena.
Le metamorfosi cromatiche sono, nella grande maggioranza dei casi, eventi noti per esperienza vissuta sotto ogni cielo e non solo sotto il nostro celestrino mediterraneo, a parte ovviamente gli oppositori che non si adeguano e che pagano il biglietto direttamente (hic et nunc), e sono connesse, come giustamente osservato dal nostro lettore nel suo intervento, a due principali realtà: il lavoro e l’alimentazione.
Per lo più infatti, e a parte eccezioni in questo caso negative, l’uomo tende al lavoro che gli consenta una esistenza libera, dignitosa e autonoma, in ciò diversificandosi dalle plebi di ogni tempo cui non pesa l’essere mantenute dal padrone pro-tempore, e quindi una alimentazione sufficiente.
Per prima cosa vivere -dicevano già antichi maestri- e quindi filosofare.
E conseguentemente l’idraulico che prima degli altri suoi colleghi riesce a impadronirsi di questi due rubinetti (lavoro e alimentazione) e a tenerseli accede ai numerosi, se pur non meritati, benefici del titolo quinto: chi l’ha in mano, ha vinto.