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L’EDITORIALE – Settembre

Il mese di settembre è particolare.

Enzo Biagi, sull’onda del ricordo e in verità non solo suo, lo considerava triste a motivo della fine delle vacanze e della imminente riapertura della scuola.

E ci sono anche alcuni altri motivi che partecipano alla mestizia oramai autunnale sia climatici, alla calura di agosto segue infatti un repentino declino di temperatura che segna il termine dell’estate nonostante il placebo di ancora soleggiati periodi e il buio intanto copre l’aurora, sia (nell’accezione più ampia del termine) spirituali come, da noi, la ricorrenza dell’otto settembre che corrisponde a una delle pagine più buie della nostra storia: il distillato di quanto di peggio si riesca a pensare in termini di irresponsabilità, incompetenza e viltà a carico di governanti politici, militari e civili.

La ricorrenza dell’otto settembre dovrebbe, in un Paese consapevole, essere data civica da ricordare nel calendario a uso dei cittadini e a monito, in parte parafrasando l’epigrafe carducciana della lapide a Oberdan nel cortile del Palazzo comunale di Bologna, ai tiranni di fuori (e di dentro) e ai vigliacchi di dentro.

Figuri sempre presenti per ogni dove onde solo un ricordo ben coltivato, benché drammatico e angosciante, può essere ostacolo al ripetersi di consimile disastro morale e politico.

Ma di tragiche vicende in cui specchiarsi per riconoscere, o almeno intuire, l’ampiezza -non letteraria bensì reale- del Cuore di tenebra esteso fino ai più lontani confini ce ne sono a sufficienza cominciando dalle guerre in corso in Ucraina e in Palestina le quali, da un lato, per la loro violenza, oscurano -quantomeno nella contingenza- altre e ben numerose orride illiceità sparse nel mondo e, dall’altro, sono state anche troppo rapidamente trasformate in abitudine.

Nei primi tempi si scorgevano volti e case e scuole e ospedali, ma poi hanno preso il sopravvento i numeri: da quanti giorni dura il conflitto, quante sono le perdite di uomini e donne e di materiali, la misura circa il numero degli ostaggi che nel passare dei giorni si assottiglia e dei bambini deportati dall’invasore di cui si perdono le tracce, dei soldi necessari a continuare etc.
Tutto diventa numero e misura come in un osceno oltre che irresponsabile video-gioco, ma (e traggo dalle parole di un amico presbitero milanese che legge la realtà attraverso occhi simili a quelli di Gesù) i numeri e le misure sono segni disabitati cui mancano volti, occhi, cuore, parole.

Contabilità burocratica dell’orrore divenuto abitudine che dissimula impietosamente ed empiamente la vita fatta a pezzi.

Guerre e rovine provocate da delinquenti comuni travestiti da politici con solide sponde nella psicopatia e nelle paludi più insane e in larga parte condotte da pazzi morali che non trovano nulla di meglio della morte. Degli altri.

Né numerosi accompagnatori, fratelli e alleati vari fanno migliore figura perché è attendibile che ove la maggioranza della comunità internazionale fosse libera quantomeno da parte della sua mala fede -e dal proposito di danneggiare altrui nel maggior grado possibile ricorrendo alle strumentalizzazioni più turpi come usare i conflitti in corso, quando non auspicati o indotti, a proprio uso e consumo- ben potrebbe (e avrebbe potuto per tempo) forzare i contendenti impazziti a fermarsi.

Ora perfino tradizionali e munifici finanziatori del terrorismo vestono indecorosamente e senza vergogna, sentimento ignoto a molti e particolarmente ai politici di bassa lega, le vesti dei negoziatori di pace e coloro che per anni hanno di fatto trescato a favorire un nemico mortale per scopi politici inconfessabili, ignorando le ragioni del reale, gridano al diritto mentre incuranti lo calpestano.

Sono guerre ad alto rischio di terminare (e pur accadesse subito) lasciando in sostanza la situazione come più o meno già era, ma avendo gettato nella fornace innumeri vite e sparso distruzioni, morali e materiali, destinate ad allargare nel tempo e nello spazio i solchi già troppo profondi dell’odio reciproco.

I bambini sopravvissuti di oggi saranno facilmente i terroristi di domani.

In Palestina la guerra sarà sospesa senza pace in prospettiva di ricominciarla quando interverranno condizioni adatte, ma questa battaglia è vinta dai Filistei che hanno dato scacco a quanti, sfortunatamente per il loro Paese (e non solo) al comando, si sono illusi di poter indossare i panni veterotestamentari di Giosuè efficacemente riattizzando al contempo l’antisemitismo mai esauritosi.

Certamente per non cadere nella rete ci sarebbe voluto qualche santo o profeta e ora la coscienza è al bando.

E in Ucraina, dove diplomazie blasonate hanno alla fine fatto cadere l’uovo dal tavolo, ricopieranno forse la infelice soluzione coreana.

D’altra parte la politica dei grandi e meno grandi da sempre ignora la pace e la colloca nei sepolcri, se e quando ci riesce, oppure nel precario per cui la guerra continua in altre modalità fino a quando non è riaccesa.

Ha scritto Hemingway nella Introduzione di ‘Addio alle armi’: … le guerre […] sono fatte, provocate e iniziate da precise rivalità economiche e da maiali che sorgono ad approfittarne.

Un numero impressionante, e difficile da contare, di innocenti spezzati di ogni età e lingua si alzerà in quel giorno e non avrà neanche da accusare perché sarà più che sufficiente per il giudizio, al quale nessuno più crede (e anche quando dicevano di crederci non si comportavano poi tanto diversamente), la loro silenziosa presenza.

 

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