EDITORIALE – Una minaccia alla sicurezza globale
Recentemente, in occasione della prima trasferta in grande stile del neo presidente USA in Europa dopo le scorribande equestri in cristalleria del precedente, i Paesi della Nato si sono trovati a convergere intorno all’orientamento di Biden considerando Russia e Cina una minaccia alla sicurezza globale.
Se si misurano, anche a spanne, le dimensioni dei due Stati in parola e, buon peso, quelle dei rispettivi satelliti, per usare una terminologia un tempo di moda o, più modernamente, delle loro zone di influenza strategico-economica (Asia, Medio-Oriente, Africa e America non del Nord) si giunge a disegnare una situazione di squilibrio che sembra invero andare ben oltre la minaccia, la quale ha pur sempre componenti di potenzialità: si sconfina in una realtà, per definizione, già ampiamente vulnerata nella sua sostanza.
Una prospettiva quindi che -estratta dalle felpate interlocuzioni ad alto tasso diplomatico- lascia il tempo che trova specialmente ove non accompagnata da azioni e concertazioni idonee a mitigare, sebbene parzialmente e in progresso, almeno qualche primo aspetto della menzionata minaccia.
Limitando qualche distratta considerazione unicamente alla Cina, e la ragione della scelta emerge dalle righe che seguono, l’esercizio consiste nel dare una scorsa al made in…di qualsiasi ‘cosa’ passi fra le mani fuori o dentro alla domestica o lavorativa magione: il made in China regna incontrastato e ha sostituito pressoché totalmente anche i precedenti Paesi dell’Europa Est nei quali le imprese delocalizzavano alla grande nemmeno più tanti anni or sono.
Appare che -qui in UE rimanendo quantomeno in parte e per ora le teste pensanti (si fa per dire)- le officine e i luoghi della produzione materiale in genere siano praticamente tutti là: dalla stampa dei libri per l’infanzia e dai giocattoli, anche non conformi, ai semiconduttori sui quali si basa la nostra avanzata civiltà della comunicazione e della ricerca (intelligenza artificiale compresa).
La Cina è il sogno a occhi aperti (e più ancora chiusi) dell’imprenditore-tipo: un governo efficiente et efficace che decide in 24 ore (basta stare dalla parte giusta del tavolo), uno stuolo sterminato di lavoro servile, ma solerte, disciplinato e privo di diritti a disposizione, altissimi profitti, ingenti capitali, enorme capacità di impiegare denaro e aggressive strategie statali di penetrazione commerciale worlwide (sempre, si capisce, stando dalla parte giusta del tavolo), assenza di lacci e lacciuoli a parte i fondamentali (chi tocca i fili muore) in mano al Partito che corrisponde al popolo e che, nell’ambito del cambiamento epocale in corso, ha introdotto recentemente anche il primo codice civile cinese ispirato al ius civile e non alla common law.
L’imprenditore-tipo è istituzionalmente filo governativo, a prescindere dal colore e dall’etica del governo, e solo la superiore abilità di alcuni nostri politici riesce, in Italia, a farlo andare talvolta in rotta di collisione.
Ma per poco: prevale infatti, salvo lodevoli eccezioni, l’insostenibile fascino della greppia e il fatto che al timone, in Cina, ci siano i comunisti a gestire un’economia di stato e rigidamente pianificata, non altrimenti che se ci fossero i nazi-fascisti o altre tipologie autocratiche in stile satrapo-orientale, non modifica il saldo orientamento sulla stella polare dell’interesse (in particolare) immediato costituito dall’antico non olet notoriamente già sperimentato con innovativo successo nelle latrine dell’Urbe.
USA si sono scoperti, nonostante e forse a motivo dei precedenti et numerosi ululati alla luna, in grave ritardo e l’Europa, per parte sua, tossico dipendente.
Per interesse, discordia e dabbenaggine diffuse.
Nel caso della pandemia si è assistito perfino a una grottesca sperimentazione di un’economia circolare sui generis: di là è uscito (e ancora non si sa come né, attendibilmente, mai lo si saprà) il virus e di là si è dovuto attendere che arrivassero perfino le maschere poiché dalle nostre parti non erano neanche più capaci di fabbricarsele da soli, ma beninteso solo di griffarle.
Imprese più sensibili e lungimiranti di altre giungono al punto di garantire i consumatori che sì, la loro produzione è orientale, ma che stile, design, test e controllo di qualità sono interamente italiani.
E’ quindi in un certo modo tornata, e vedremo se solo per moda contingente, la preoccupazione del pericolo giallo che aveva avuto anche qualche diffusione politica nei primi decenni del secolo scorso (al riguardo è anche circolata una frase attribuita a Mussolini che sembra peraltro essere stata inventata ad hoc): lasciando le previsioni ad astrologi e fattucchiere basterebbe forse iniziare a lavorare in modo più accorto e responsabile: la globalizzazione non è a senso unico, ma una giostra pericolosa che postula politiche attive di costruzione e governo di alternative concrete, altro che minaccia.