EDITORIALE – Contrasti di opinione
I primi dissidi e contrasti di opinione iniziarono ai tempi della missione terrena del Maestro, quando la ecclesia ancora nemmeno esisteva: fra i discepoli c’era, infatti, chi voleva primeggiare e c’erano altresì coloro che (in molti), davanti a parole dure del Maestro, si ritirarono né più intesero seguirlo (Gv 6,66).
I problemi continuarono fra i giudeo-cristiani e Paolo e non erano proprio marginali dato che concernevano l’importanza da attribuire e le norme da osservare, da parte dei gentili neo-cristiani, verso il complesso corpus della legge e della tradizione giudaica.
I santi Pietro e Paolo uniti nella solennità liturgica rappresentano più due modalità differenti le quali convergono, comunque, verso il medesimo Dio che una concorde visione teologica o un’armonia di intenti.
E le vicende che seguono non sono da meno, fra Concili, eresie, lotte, violenze, pesanti commistioni politiche onde neanche l’attuale duro contrasto ecclesiale in atto fra conservatori e progressisti, ammesso che i due termini siano praticabili in questa materia, dovrebbe scandalizzare (in senso etimologico) più di tanto.
Certo, possono far specie talune modalità operative che, essendo i soggetti agenti in ogni caso sacerdoti dello stesso Signore, ci si aspetterebbe (forse) bensì determinate nella difesa o promozione delle rispettive idee, ma anche pulite.
Ma oltre al fatto che la perfezione non è, in genere, di questo mondo (come la certezza) rimane pur sempre disponibile e a portata di mano la commistione strumentale con qualcosa di diverso, ma parallelo: ora ognuno intuisce come a un libro in prossima uscita giovi smarcarsi e promuoversi per il tramite di una polemica che vada a solleticare se non le conoscenze, le quali di solito rimangono riservate agli addetti ai lavori, almeno la curiosità anche degli altri.
Dopo il Sinodo dell’ottobre 2019 sull’Amazzonia e prima della pubblicazione da parte di Francesco papa, cui spetta la decisione definitiva in merito, dell’attesa esortazione post sinodale ecco tracimare una polemica innestata dalla doppia firma degli autori, una delle quali corrisponde (o corrispondeva) a quella del papa emerito.
Il quale, tanto per iniziare, è -come figura in sé- un’invenzione mediatica che, in assenza di precedenti, ha avuto successo, ma che nella sostanza tende probabilmente più a confondere le reali proporzioni delle cose che ad aiutarne la comprensibilità.
Il papa è, come deve essere, uno solo e Ratzinger non è (più) papa da quando ha rinunciato formalmente alla funzione e indipendentemente dalle motivazioni (egli ha dichiarato l’età e la salute) che lo hanno indotto alla scelta.
I partigiani dell’uno o dell’altro, assunti o fatti assumere a simbolo di ideali teologici assai distanti (Francesco è oggetto, come noto, anche di accuse di eresia), tendono a trascendere come di solito tutti i partigiani fanno e questo ritarda ovviamente non solo il sereno (esiste e si può immaginarlo?) confronto fra le parti, ma avvelena l’aria o il contesto e impedisce quel dialogo che, sempre a parole, solitamente si evoca con qualche temerarietà di troppo e in ogni caso con scarso riguardo per la sua efficacia e più scarsa ancora considerazione per l’intelligenza (comunque contenuta) degli ascoltatori.