L’EDITORIALE – Romagna solatia, dolce paese
Leggendo sul Corsera dell’anziano e coraggioso signore, di nome Giuseppe (avrà senz’altro un sopra-nome), cui la piena del Santerno ha nell’alluvione di maggio portato via la casa-mulino, il vecchio, del medesimo luogo sebbene non più colà abitante dal tempo della guerra, pensava a quante volte aveva guardato il fiume dai suoi argini non scorgendovi che placida acqua fra l’erbe e le canne ricetto di anitre colorate.
Sicuramente si tratta di un fiume, secondo le regole della geografia che prescrivono una presenza liquida, comunque sia, lungo ogni mese dell’anno, ma con eccessi e piene travolgenti al pari del più traditore dei torrenti fors’anche a motivo del bacino idrografico e delle condizioni del suo corso.
La sorgente è in alto, vicino alla Futa e da 900 metri d’altezza scende il rio (di fatto oltre che di nome) verso il mare e raccoglie ovunque fossi e ruscelli appenninici.
Quindi in esso affluiscono torrenti di cui uno, al contempo confine regionale fra Toscana ed Emila-Romagna, porta un nome che è tutto un programma: Rio Canaglia.
Raggiunta poi la pianura, prima di Imola, il fiume prosegue in direzione di S. Agata sul Santerno, scorre parallelo a San Lorenzo e termina nel Reno, il più lungo dei fiumi della regione, che sfocia nel mare al di sotto del grande Delta.
San Lorenzo, dunque: il medesimo paese del signor Giuseppe (classe 1930) e del pur vecchio lettore e così piccolo da essere indicato, giustamente, come frazione di Lugo.
Le ultime decine di chilometri, in pianura e a livello del mare, sono percorse dal Santerno fra alti argini erbosi sotto ai quali fra le altre, a San Lorenzo, prima che la guerra si portasse via il paese sorgeva anche la magione dove venne al mondo il vecchio.
Raccontavano le donne di casa, non c’erano uomini, che durante le piene (in dialetto fiumana) rimanevano sveglie di notte ad ascoltare con il fiato sospeso il vorticare delle onde e che poi sovente trovavano sotto acqua l’orto dietro alla casa. La quale però, in antica pietra costrutta, fortunatamente teneva (Tèn bòta, va là, te purèna) e tenne sempre: per abbatterla dovettero minarla due volte.
La corrente impazzita portava giù di tutto e qualcuno, nell’equilibrio instabile e scivoloso dell’argine fradicio, cercava anche con pertiche e corde di pescare qualcosa fra quanto di galleggiante passava davanti.
Capitò anche che taluno scivolasse e risucchiato fosse nel gorgo, ma incappando però nella fortunata ventura di essere lui ri-pescato qualche decina di metri più a valle.
Anche le patrie cronache riferiscono di piene ed esondazioni come di incessanti opere antropiche che seguivano ai movimenti unilaterali della natura, a cominciare da quelle degli Estensi che nel ‘400 deviarono il corso del fiume in non distante località San Lorenzo in Selva, altra frazione lughese, e di numerosi altri interventi artificiali per scopi di bonifica o di miglioramenti idrici stimolati dall’incubo costante delle fiumane.
E così avvenne anche che, prima dell’ultima alluvione, ancora nell’autunno del 2014, i violenti temporali appenninici portassero all’esondazione fino a Imola e, nello scorso secolo, inverno del ’59, il Santerno abbia rotto gli argini a S. Maria in Fabriago e allagato le campagne fino a Massa Lombarda e Conselice.
Anche Conselice fa parte dei ricordi (narratigli in casa) del vecchio che vi fu portato infante dalla sfollata famiglia dopo la distruzione bellica di San Lorenzo: non mancò di giungervi il fronte e violenti combattimenti a colpi di cannone indussero i civili a rifugiarsi nelle cantine sotto la chiesa, dedicata a San Martino Vescovo.
Quando vi scesero il commento (in dialetto) dell’ospitale parroco don Francesco, a proposito dei soldati della Wehrmacht, fu che “questi qua quando parlano, abbaiano” e quando ne emersero -dopo tre giorni e tre notti, più o meno come nostro Signore dal buio del sepolcro- “questi qua quando parlano, miagolano”: erano infatti inglesi e neozelandesi.
Sempre un villaggio, sempre una campagna
mi ride al cuore (o piange), Severino …
…Ma da quel nido, rondini tardive,
tutti tutti migrammo un giorno nero;
… Romagna solatia (non sempre), dolce paese…