HomeDe Litteris Et ArtibusDE LITTERIS ET ARTIBUS – Il cinema ritrovato – Le mari de la coiffeuse (Il marito della parrucchiera) di Patrice Leconte (1990)

DE LITTERIS ET ARTIBUS – Il cinema ritrovato – Le mari de la coiffeuse (Il marito della parrucchiera) di Patrice Leconte (1990)

Antoine (Jean Rochefort) rimane prigioniero e non riesce a scordare la sua infatuazione adolescenziale per l’universo femminile da quando, dodicenne stregato dalla prorompente femminilità di una opulenta parrucchiera alsaziana, si ripresentava con eccessiva frequenza da lei col pretesto del taglio dei capelli, ma in realtà per spiarne, turbato, le forme e abbandonarsi con precoce morbosità alle prime esperienze olfattive e tattili. 

Ormai cinquantenne, è ancora in preda a tali turbamenti adolescenziali e, alla ricerca della donna della sua vita, incontrerà la giovane Mathilde (Anna Galiena) da poco proprietaria di un negozio di parrucchiera.

Sarà un amore dolce e bizzarro che caratterizzerà dieci anni della vita in comune della coppia.

Lui la sposa e trascorre il proprio tempo dentro le quattro anguste pareti del locale dove Mathilde lavora, senza mai distogliere lo sguardo da lei, intento a spiarne gesti e forme. Lei ne ricambia i sorrisi e contrappuntandone di soppiatto, appena può, i gesti carezzevoli fra shampoo e lozioni, forbici e pettine intorno alla testa del cliente di turno, morbosamente attratta dalle manipolazioni sul suo corpo essendone estasiata. 

Unica alternativa le buffe contorsioni di Antoine, che distrae i clienti con le sue esibizioni di goffo danzatore.

Lo spazio chiuso del locale diventa così il loro habitat diurno e notturno e l’unica cornice dei loro rapporti amorosi, alternati da stravaganti orge a base di colonia e dopobarba, ma è anche la prigione dentro la quale diventa ossessivo quel loro concentrarsi unicamente sull’erotismo fino a farne un assoluto.

La fine è tragica: improvvisamente Mathilde si suicida ossessionata dal terrore che possa accaderle un giorno di non esser più desiderata.

Antoine non perde la sua voglia di vivere e continua come se non fosse accaduto quel fatto tragico, nella costante attesa del ritorno di Mathilde, così che la vita scorra di nuovo con regolarità, intervallata dalle danze arabe che sono la passione segreta dell’uomo.

Centro e fulcro della storia è questa coppia di marito e moglie (più simili ad amanti), è questa comunione di spiriti e di corpi resa con un’insistenza quasi maniacali con scene in cui i due compaiono nella stessa inquadratura, ma anche con una contrapposizione di visi e di espressioni che rendono il dialogo instaurato tra di loro palpabile e profondo.

Un’unione solida, che vive dell’empatia con i clienti affezionati o saltuari ed è resa credibile dalla recitazione convinta dei due protagonisti: l’italiana Anna Galiena, (sensualmente erotica in ogni gesto, sguardo, movenza) alla sua vera prima parte da protagonista sulla ribalta internazionale e il francese Jean Rochefort (attore feticcio di Patrice Leconte) che fornisce qui prova (ancora una volta nella sua fulgida carriera di grande attore) di una grande duttilità riuscendo a dar forma a un personaggio difficile da rendere sullo schermo per quel suo lato bambino, ben reso nei momenti di danza.

Il film fece raggiungere a Leconte la notorietà internazionale e fece conoscere, al di fuori della Francia, il suo cinema dimesso, ma passionale e con al centro una forte umanità.

“Il marito della parrucchiera”, curato nella fotografia, sapiente nello scorrere delle inquadrature (il film, escluso le scene girate sull’oceano, si anima nell’interno di un negozio di parrucchiere, una sfida per un direttore della fotografia), esige la predisposizione d’uno spettatore innamorato, al pari del regista Leconte, d’un soggetto tanto fragile e inconsueto, in bilico tra il patetismo dell’ossessione erotica e il perfezionismo d’un sentimento destinato a tramutarsi in tragedia. 

Non si può che convenire sull’originalità e sulla delicatezza di questo film lirico e intenso che ci appare ispirato a Truffaut (film dopo film Laconte si accosterà sempre di più alla poetica “truffaudiana”) e condotto con mano gentile, con una sua levità di tono tutta particolare, che non cancella la profondità della riflessione, ma la porge allo spettatore con garbo sottile e complice ironia. 

PS: a proposito di Alsazia, terra meravigliosa, fra l’ottocento e il novecento in perenne bilico fra la cultura e l’anima francese e quella teutonica, i due Stati da sempre pervasi da istinti imperiali se la contendono e strappano più volte.

Se vi capita di percorrerla, fra i suoi vigneti e i suoi borghi, carichi di storia e di sapienza contadina, non potrete mancare di assaporare la choucroute garnie (letteralmente “crauti conditi”), piatto di carni di maiale e crauti (originario alsaziano, ma ormai assurto a piatto nazionale della cuisine bourgeoise francese).

Protagonisti indiscussi della choucroute sono appunto i crauti: il cavolo cappuccio viene tritato grossolanamente e, per diverse settimane, sottoposto a fermentazione acida e diventa il compendio che accompagna le più deliziose specialità della regione come salsiccia, lardo affumicato e patate.

Nonostante sia conosciuta come piatto di carne, la choucroute può essere gustata anche nella sua versione a base di pesce utilizzando genericamente l’eglefino affumicato (pesce simile al merluzzo che viene pescato nell’Atlantico del nord), ma anche coda di rospo, salmone, cozze o gamberi, ricoperti da una deliziosa salsa di vino bianco e scalogni.

La choucroute si accompagna mirabilmente con i vini alsaziani (i più indicati Riesling o Sylvaner) così come con le sublimi birre della regione.

Per finire si può assaporare un calice di Cremant d’Alsace, spumante elaborato con il metodo della rifermentazione in bottiglia.

 

Antonello Nessi

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