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EDITORIALE – Ci siamo e ci saremo

Nonostante l’Italia già sia munita di un complesso di leggi e disposizioni superiore a quello di altri Paesi messi insieme che, a dispetto della logorrea legislativa e amministrativa, non raggiunge l’ambizioso obiettivo di garantire una società fondata sul diritto, anche per la generalizzata tendenza dei consociati a dimenticarle o ad aggirarle, emerge talvolta la sensazione che qualcosa di più e di meglio si dovrebbe ancora pur provare.

A proposito, intendiamo, della spumeggiante (e uniforme) sceneggiata che ha preceduto e accompagnato le consultazioni del presidente della Camera svoltesi sul consueto doppio binario (una tavolata ufficiale, ma senza poteri, e una ragnatela di contatti incrociati più o meno nascosti in back office) e terminata in fiasco laddove tutti o quasi protestavano di continuo essere la propria opera e impegno al servizio unicamente del bene comune e della Repubblica piuttosto che a quello delle rispettive botteghe.

Ci dovrà pure essere un limite all’indecenza di abusare della credulità di questo popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori (anche di casacca e di orifiamma) etc. che poi, mandate in pausa le funzioni cerebrali, non sa più cosa fare né dove sbattere la testa e infatti lo si vede da come e soprattutto chi vota.

Ci si dovrà pure non limitarsi più a sorvegliare le dubbie, ma tutto sommato poco pericolose attività dei comuni ciarlatani da strada e far salire di livello la guardia a dove il rischio, qual tarlo, insidia direttamente le fondamenta della Repubblica.

Urge dunque una rivisitazione del codice penale che contempli la responsabilità di coloro i quali, tra l’altro in buona parte eletti e quindi destinatari di un munus publicum, si sottraggano con scelte mirate ai doveri del ruolo e vi abdichino in mala fede rimanendo inattivi davanti al comune pericolo e ai danni conseguenti.

Le attività non meno delle inattività recenti causate dal prevalere di interessi singoli, egoismi e sentimenti non lontani dall’odio tribale hanno condotto a verificare nella pratica come si formi l’immunità di gregge di cui parlano gli scienziati, ma più che verso l’infezione verso i già labili confini del senso del dovere e della responsabilità.

Urge quindi un intervento formale, quantomeno a livello di diritto o tutela penale che, come noto, costituisce l’ultima salvaguardia di quel minimo etico privo del quale una collettività viene allo sbando e mette a rischio la sua stessa sopravvivenza.

Una disposizione quindi che sanzioni il comportamento doloso o colposo (oltre alla furberia brulica anche l’incapacità) di chi, per il tramite dell’impostura, abusi della credulità dei concittadini e preveda aggravanti specifiche (per esempio utilizzo dei talk show, dei social etc.) oltre a quelle più tradizionali delle aggravanti generiche di cui all’art. 61 c. p. a cominciare dai sempre vivaci ‘motivi abietti e futili’ in poi.

Quanto all’apparato sanzionatorio, di particolare rilevanza ai fini dell’efficacia della norma penale e non dimenticando che l’obiettivo rimane (art. 27 Cost.), anche e perfino per costoro, la rieducazione del condannato, saranno da prevedere, in un cocktail saggiamente dosato, interventi contemporanei: esborso monetario significativo e certo (è l’ipotesi che la maggioranza dei rei detesta poiché in grado di sperimentarne, nelle proprie tasche, il valore repressivo), ad metalla (che non comporta la riapertura delle miniere nel Sulcis, ma solo mandare il reo a lavorare risparmiandogli tuttavia lavori socialmente utili o di pubblica utilità etc.), e ad bestias (che non comporta, tranquilli quindi gli animalisti, il coinvolgimento dei leoni, ma solo un periodo di rieducazione –more ‘compagni’- a cura di qualche fazione politica avversaria scelta a sorte dal giudice).

Ricorderemo ancora, al riguardo, come Einstein abbia contribuito a offrire uno spunto di riflessione osservando che, dopo la terza guerra mondiale combattuta in modalità nucleare, la quarta si sarebbe svolta con pietre e bastoni.

Ci siamo più prossimi, alla quarta (e per fortuna riuscendo -forse- a saltare la terza), di quanto non si sia soliti immaginare essendo il nostro genere palesemente capace di regredire a livello di savane e foreste in un lasso di tempo sicuramente molto inferiore rispetto a quello impiegato dalle australopitecine a trasformarsi in umani.

E bene ha fatto il presidente della Repubblica a dare una risposta concludente, immediata e di poche parole atta a chiudere quest’ultimo periodo ‘politico’ intercorrente fra le dimissioni del governo a maggioranza relativa (ad onta delle trasmigrazioni dei responsabili) e il mandato esplorativo e conferire un novello incarico dai contenuti forse un po’ diversi da quanto la battibeccante e risicata maggioranza uscente non si proponesse.

A fronte del quale, facendo di necessità virtù, rispondono (quasi) tutti allo stesso modo (salvo intese): ci siamo e ci saremo.
Che ci siano, lo vediamo anche noi e ci asteniamo dai commenti; che ci saranno, eh, questo potrebbe in effetti essere proprio il problema.

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