EDITORIALE – Mostratemi la moneta del tributo
Una immagine può innescare contorni ed evocare pensieri diversi e ulteriori rispetto alle intenzioni del suo autore, ammesso che il proposito non sia una mera registrazione di cronaca.
Così la fotografia del presidente della Federazione russa con la (contingente) rossa candela pasquale in mano (e il medesimo sguardo senza espressione di sempre) ha fatto il giro del mondo trasferendo, forse, interrogativi o considerazioni che travalicano le condizioni del personaggio in sé.
Posa, come d’uso, solitaria e assenza di dettagli sebbene collocata all’interno di una funzione religiosa importante -la veglia nella cattedrale del Cristo Salvatore di Mosca celebrata dal patriarca Kirill- e auguri contenuti in un messaggio pubblicato dal Cremlino per i quali “Questa grande festa unisce i cristiani ortodossi, tutti i cittadini della Russia che celebrano la risurrezione di Cristo, attorno a ideali e valori morali elevati, risveglia nelle persone i sentimenti più luminosi, la fede nel trionfo della vita, della bontà e della giustizia”.
Il presidente ha poi ringraziato la Chiesa ortodossa russa (come noto il patriarca Kirill sostiene l’offensiva russa in Ucraina interpretandola come un giusto argine contro la corruzione occidentale dei costumi) per il “lavoro costruttivo e fruttuoso volto a preservare le nostre più ricche tradizioni storiche, culturali e spirituali, rafforzare l’istituzione della famiglia ed educare le giovani generazioni”.
Il primo non è neanche un interrogativo, ma una constatazione di ordine universale tragicamente valida per tutti i tempi e tutti i luoghi: l’uomo si fabbrica il suo dio, a propria immagine e somiglianza, e lo utilizza empiamente e idolatricamente a uso e consumo di interessi e scopi politico-sociali contingenti che cerca, più o meno riuscendoci, di coprire con l’ipocrisia e di governare con la menzogna, l’ingiusto giudizio e la violenza: è il politeismo del vitello d’oro ai piedi dell’Oreb che regolarmente tracima, ovunque e sempre, nelle vicende umane.
Ed è, questo, un dio nero di morte, falso e bugiardo, creato dall’incredulo che vuole autolegittimarsi e al contempo referenziare con presupposti metafisici il proprio scopo: sovente i popoli, soggiogati dalla demagogia, abboccano e quando se ne accorgono sono già nella rete e vi rimangono.
Ci sono genti come quelle russe, ma non solo (vedi Asia, Medio Oriente, Africa), che per loro disgrazia non sono ancora uscite dal medioevo passando, come hanno fatto, dal regime zarista e dalla servitù della gleba al regime sovietico e quindi di fatto senza soluzione di continuità a quello attuale, del pari assolutista e liberticida come i precedenti.
Ce ne sono altre che hanno avuto l’hybris e l’improntitudine di usare Dio sulle fibbie dei cinturoni militari (Gott mit uns) o sul denaro (In God we trust) immemori o all’oscuro del racconto evangelico: Mostratemi la moneta del tributo. Gli presentarono un denaro. Dice loro: Di chi è l’effige con l’iscrizione? …
Senza considerare le feroci epilessie religiose medio-orientali degli estremisti e terroristi che teorizzano e portano guerra sia all’interno dell’Islam (sunniti vs sciiti) sia contro l’Occidente etc.
Il secondo è in sostanza un interrogativo, anche se retorico: vero che l’autocrate (storico appellativo dello zar russo) è un prodotto, in particolare, distillato da sistemi politici che non danno spazio al ricambio o all’alternanza e tantomeno al confronto.
L’importanza della biodiversità non si ferma alle farfalle.
Poiché le parole sono importanti (e in ispecie lo sono nella demagogia che sulle parole prolifera) la maggioranza dei sistemi liberticidi tende regolarmente a presentarsi, all’interno e all’esterno, come democrazia e l’ossimoro rappresentato da una tirannide democratica, evidente a chiunque abbia libera capacità di giudizio, è obnubilato dalle impostazioni ideologiche a priori, anche di chi nella libertà è senza accorgersene ritenendola un elemento automatico della vita.
Ma colui che, con ogni mezzo e talvolta, all’inizio, perfino legale, riesca a prendere il potere aspira poi a mantenerlo sine die da un lato utilizzando (ma a proprio uso e consumo) strumentazioni formalmente democratiche come le elezioni e, dall’altro, soffocando ed estirpando nel modo più efficace possibile qualsivoglia forma di opposizione.
Numerosi sistemi autocratici moderni conservano, o hanno innestato ad hoc, istituzioni formalmente o apparentemente tipiche delle democrazie, ma con la differenza che non le fanno funzionare nella sostanza o solo a corrente alternata: quando fa comodo e con obiettivi prefissati (e. g. le elezioni).
Il non avere reale confronto politico né opposizione, poi, sicuramente garantisce un considerevole risparmio di tempo di governo e il più efficiente decisionismo che si possa immaginare (le vere democrazie sono costituzionalmente lente), ma porta all’isolamento reale dell’autocrate il quale, per selezione naturale, si trova contornato solo da personaggi di comodo che hanno scelto di procedere a senso unico per proprio vantaggio.
E quindi con un valore aggiunto di norma molto relativo e comunque in progressiva decrescita.
Così l’autocrate, entrato in bolla di auto-protezione per volontà di potenza, superbia, comodità operativa e sicurezza, in quella stessa bolla rimane definitivamente inspessendone le pareti fino a opacizzarle alla vista e a renderle afone all’udito.
E perde progressivamente la corrispondenza, quale che inizialmente fosse, con una realtà che non sia fatta dal suo volere o che non corrisponda alle sue aspettative o disegni.
L’attuale presidente federale russo, ex funzionario di stato sovietico che si è assunto un’eredità pesantissima davanti a Dio (forse non quello che ha in mente lui) e alla storia, coprendo di ignominia e disonore se stesso e il suo esercito in cui brulicano pendagli da corte marziale, rientra a pieno titolo nella (lucida) visione politica di Enrico Berlinguer, comunista che conosceva da vicino la compagnia, il quale nel 1976 ebbe a dire (citato da Giuseppe Ucciero su Arcipelago Milano del 3 maggio scorso) che ‘si sentiva più sicuro sotto l’ombrello della NATO’.
E un ragionamento non dissimile sembra sia nella testa dei Finlandesi, il cui territorio confina con quello russo per quanto è lungo, i quali prima dell’aggressione contro l’Ucraina erano per la politica di non allineamento, mentre ora tre su quattro sono favorevoli a entrare nella NATO.
Così come la social-democratica Svezia, da oltre duecento anni fautrice della neutralità attiva (cioè non disgiunta da un buon apparato di difesa).
E al mondo, già abbondantemente immerso nelle sue molteplici sciagure, andò anche bene che il patto Molotov-Ribbentrop non facesse razza dato che ciascun dittatore è (ontologicamente) convinto di dover essere unico e di avere (sempre e solo lui) ragione: onde azzanna i suoi simili.
Tra l’altro Hitler aveva anche già messo avanti le mani sulla sfortunata Ucraina sottolineandone il ruolo produttivo agricolo necessario per sfamare la grande Germania né era il tipo da accettare, de facto, una diarchia con Stalin.
E viceversa.